giovedì 31 ottobre 2013

Il catechismo


Io lo dico sempre che sono ignorante e vorrei essere edotto. Capisco qualcosina, e vorrei capire di più. Quando qualcuno dei miei lettori ha pensato, forse perché i toni ironici e scanzonati che spesso uso possono essere fraintesi, che volessi mettermi a fare il maestro di vita o qualcosa del genere, ho aggiunto al titolo di questo blog la dicitura "confessioni di un fesso reoconfesso". Dunque, non c'è bisogno che me lo facciate notare. Non sono un capoccione, e non aspiro a esserlo. Mi basterebbe capire il 30-40% di quello che c'è da capire. Sarebbe già un ottimo risultato.

Dicevamo, ho sete di conoscenza. Ma non di mere e aride tassonomie, o di interminabili sequele di articoli di fede. Eh, no. E qui la cosa si complica. Ho sete di un tipo di conoscenza che in questo paese - me ne rendo conto ogni giorno di più - non ha molti fan. Perché se io mi identifico con la mia storia personale, per quanto faccia schifo, con i miei ricordi, i miei affetti, e d'altro canto anche con i miei errori e i miei insuccessi, molti intorno a me si ostinano imperterriti a identificarsi con entità intangibili e astratte. Hanno fede. E la fede, si sa, va dimostrata credendo in proposizioni astruse. O' Brien, il perfido torturatore di Winston Smith in 1984, pretendeva che la sua vittima credesse che lui gli mostrava un numero di dita diverso da quelle che effettivamente aveva alzato. Non bastava che lo dicesse. L'essenza della fede è proprio questa: condividere un'immagine della realtà clamorosamente deformata. Non riesco a pensare a niente di più efficace per compattare un gruppo.

Recentemente ho avuto modo di collaborare a un progetto pomeridiano in una scuola napoletana. Il fato, come si sa beffardo, ha voluto che proprio io dovessi aiutare due ragazzini sui dieci anni a fare i compiti per il catechismo. Io, che tra le poche fortune ho avuto quella di non essere mai stato mandato a farmi indottrinare dai preti (con tutto il rispetto per chi crede), guardavo il mio compagno d'ateismo più vicino e ridevo. Eppure, svolgendo quei semplici esercizi e osservando il coinvolgimento dei pargoli negli stessi, ho compreso il sottile piacere che li animava, al punto di spingerli a tirare fuori i libri senza che nessun adulto glielo intimasse. Si sentivano appagati dal fatto che attraverso l'apprendimento di quelle semplici nozioncine stavano diventando parte di una comunità, una "congregazione", come dicono gli anglosassoni.

Io sono un tipo strano. Di fare branco non me ne è mai fregato molto. Mi sento a disagio, come tutti, quando sono circondato da persone che si trovano su un'altra lunghezza d'onda. Solo che a me non basta il catechismo. E allora me ne sto a casa da solo, leggo, immagino. I commune with the dead and their wisdom, potrei dire nella mia splendida lingua acquisita, che amo perché mi ha dato nuovi orizzonti. Provo un senso di comunanza nel leggere gente morta e saggia. Mi rendo conto, con uno stupore che talvolta rasenta la commozione, che alcuni di loro capiscono il mio presente più dei miei conemporanei. 

E così mi abbevero a questa conoscenza e a questa comprensione che mi isolano e mi precludono quella categoria dell'ecumenico che agli italiani, tanto spesso cattolici senza rendersi conto di esserlo, piace da morire. "Scusate, non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera" cantava Guccini, prendendosela con chi si era fatto chiudere il cuore da una morale. Si era dimenticato, evidentemente, di menzionare chi si fa chiudere il cervello da un credo.  

Provo fastidio ogni volta che leggo uno status di Alessandro Di Battista su Facebook. Non perché trovi sbagliato quello che scrive. Tutt'altro. Perché, se è vero che esistono una saggezza e un'umanità infinite in tutto il pensiero e la letteratura socialista (intendo il termine nel senso più ampio, di nuovo, come lo intendono gli anglosassoni), è anche vero che oggi di questo pensiero non resta che il catechismo nell'azione e nel discorso della "sinistra". E questo mi rattrista. Perché, per quanto saggi siano i morti, il mondo lo cambiano i vivi. E io Cristo non voglio adorarlo nella morte, voglio farlo scendere dalla croce.

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