venerdì 4 ottobre 2013

Protestare invano


Cari amici, poc'anzi ero assiso sulla tazza del cesso, intento ad espletare le mie funzioni corporali. Non sono il primo, e non sarò certo l'ultimo a osservare che il gabinetto è una fucina di idee come poche altre. Mi è bastato udire lo strombazzare di mille clacson nella strada sotto casa, evidentemente bloccata dalle solite auto parcheggiate in doppia fila, per capire che mi era stata servita su un piatto d'argento l'ennesima straordinaria metafora della situazione politica di questo paese.

Che cosa facevano gli automobilisti resi pazzi dal traffico? Bussavano. Come se, nella lunga e travagliata storia dell'ingorgo stradale suonare il clacson avesse mai sortito il minimo effetto. O costoro erano tutti freschi patentati, imberbi e ancora non rotti alla vita e alle frustrazioni che ci somministra senza tregua, oppure sapevano benissimo che tutto quello starnazzare era perfettamente inutile, e vi si dedicavano per ragioni che adesso andremo a cercare di comprendere.

Che cosa produce un ingorgo? Il transito di un numero di veicoli eccessivo su una determinata strada, oppure un'auto parcheggiata in modo tale da ostruire il passaggio, o ancora un incrocio affollato in cui gli automobilisti non rispettano le precedenze. In tutti questi scenari, e in tutti gli altri che possiate mai immaginare, a causare l'ingorgo sono sempre i veicoli che poi ne restano prigionieri. Quale potrebbe essere una soluzione efficace contro il traffico, dunque? Ad esempio, rinunciare all'auto per compiere spostamenti di entità modesta. Oppure sostituirla, drasticamente, con uno scooter o con una bicicletta, magari a pedalata assistita. Ma l'italiano, si sa, non ama le soluzioni drastiche, e spesso è incapace anche delle più prudenti e timide innovazioni. Non lo schiodi dal sedile di guida di quella cacchio di macchina. La maledice ogni volta che resta bloccato un quarto d'ora per andare a fare la spesa a poche centinaia di metri da casa, ma se stai cazzo che se la fa a piedi.

Siamo abituati, storicamente, a subire. Siamo, sebbene europei, un popolo di schiavi. L'unica eccezione in tal senso in questo continente, oltre all'Irlanda, almeno a quanto mi risulti dalla mia conoscenza approssimativa della Storia. E che fanno gli schiavi, consci di non poter cambiare la propria sorte? Protestano. Protestano a vuoto, lo sanno che non cambierà niente. Protestano per sfogarsi, non per ottenere qualcosa. 

Ora, tu allo schiavo gli puoi togliere le catene, ma non è che così facendo lo rendi libero. La sua forma mentis resta quella dello schiavo. Se tu vuoi rendere libero lo schiavo gli devi far capire che adesso può andare dove vuole, ma che questo comporta una responsabilità. Se lo liberi dalla piantagione di cotone analfabeta e incapace di prendere decisioni com'è, è matematico che quello finisca negli slums di Chicago e Detroit, passando senza soluzione di continuità dalla schiavitù del campo a quella della fabbrica.

Italiano, brutto schiavo ignorante e abbrutito, guardati i polsi: non hai catene, tu. L'ingorgo a croce uncinata in cui siamo finiti come paese lo abbiamo creato noi, per non aver saputo governare l'automobile del consenso politico. Tu invochi i fucili e le bombe come duecento anni fa invocavi Napoleone. Nel frattempo ci hanno dato il suffragio universale. Contro le fregature che ci ha dato Napoleone puoi inveire a ruota libera, te lo consento, contro le larghe coalizioni che ci stanno mandando in malora no. Contro di loro dobbiamo agire, perchè ne abbiamo la possibilità. In caso contrario, smettiamola di lamentarci. Se proprio dobbiamo dormire, che tacciano i fastidiosi clacson.


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