lunedì 18 novembre 2013

Furbacchioni in vetrina


Vi imploro, datemi tregua. Sono fesso, non lo nego, e anzi lo rivendico. Anch'io cado vittima dell'errore e della stoltaggine, ma almeno, perdinci e perbacco, provo a farlo con moderazione. Su Facebook, invece, assisto a un festival perenne della'idiozia e dell'inanità. Le vette più sublimi si raggiungono con Pippo Civati, e tutti coloro che hanno passato più di cinque minuti della loro vita a prenderlo sul serio. Su costoro, e sulla loro progenie, ricade la colpa indelebile di aver trasformato in una sorta di guru un furbacchione che politicamente è meno di zero.

Ho fatto un'affermazione forte, e adesso la devo sostanziare. Se non lo facessi, sarei poco serio. Dunque, perché Civati è politicamente meno di zero? Per rispondere a questa domanda, credo sia utile accennare a come si è trasformato nel sentire comune il concetto di politica in Italia, negli ultimi 20-25 anni. 

Una volta, me lo ricordo perché non sono più un giovincello, la politica parlava delle cose. Non era metadiscorso. La politica parlava di fare, e spesso arrivava perfino a fare. Questo perché aveva un ruolo, che il momento storico le aveva assegnato: quello di mediare fra diverse visioni del mondo e soprattutto opposti interessi. la politica in Italia ha prodotto lo Statuto dei Lavoratori, la scala mobile, l'equo canone, e d'altra parte ha sorretto e incoraggiato lo sviluppo di un capitalismo nazionale, e gli ha consentito di sopravvivere alla concorrenza di sistemi produttivi molto più solidi e competitivi, in particolare quello tedesco.
Poi, all'inizio degli anni '90, il mondo ha preso a trasformarsi alla velocità della luce. Il blocco dei socialismi reali ha ceduto di schianto. Maastricht ha segnato l'inizio di un cammino che avrebbe portato, sotto l'egida della barbarie neoliberista, all'unione economica e monetaria che sta facendo a pezzi i popoli di mezza Europa. In questo scenario, la politica non aveva più, non poteva più avere il ruolo di prima, ma ne doveva assumere uno nuovo: catalizzare il consenso elettorale intorno a proposte e programmi che non invadessero il campo dell'economia e della finanza, ma al contempo consentissero ai cittadini  - ormai di fatto sudditi - di identificarsi con la forza politica di riferimento, e continuare ad avere l'illusione di vivere in democrazia.

Non è un caso che gli anni '90 abbiano visto una netta affermazione della "sinistra" in molti paesi europei. Per la prima volta gli ex comunisti arrivarono al governo in Italia, sebbene alleati con i cattolici, e in gran Bretagna  Blair ottenne una storica landslide victory, una vittoria a valanga. Le politiche di quest'ultimo, così come quelle di Prodi, erano chiaramente improntate al lasseiz faire, eppure questi signori passavano, in qualche modo, per esponenti della "sinistra". Come è possibile?

Perché, come accennavo prima, la politica è diventata metadiscorso. Il suo oggetto non è la trasformazione della realtà (la storia è finita, dunque cosa c'è da cambiare?), bensì uno sterile filosofeggiare che altro non è, in ultima analisi, che una contrapposizione di identità ideologiche pre-confezionate. Non le identità ideologiche del mondo novecentesco, costruite a partire dal prendere atto della propria appartenenza a una classe, con tutto ciò che questo comportava, ma identità il cui valore è esclusivamente estetico (mi correggano i filosofi se uso il termine impropriamente), ovvero relativo al modo in cui all'individuo piace percepirsi. Dunque, questa politica non è altro che nutrimento per il narcisismo di individui ormai completamente alienati dai concetti di democrazia e cittadinanza così come sono stati declinati dall'Illuminismo fino alla fine degli anni '80. E' un prodotto di consumo, un bene voluttuario.

Pippo Civati tutto questo lo sa bene, essendo molto più colto e intelligente di me. Quello di cui difetta è l'onestà intellettuale che gli sarebbe necessaria per ammettere che, se vuole realizzare solo la metà di quello che propone, dovrebbe cominciare col lasciare il partito in cui milita, vera fucina in Italia della concezione della politica alla quale alludevo prima. Se si vuole che la politica riacquisti dignità la si deve rendere utile, le si deve ridare il suo spazio. La si deve far uscire dalla vetrina dietro cui l'hanno messa quelli che volevano governare il mondo con mano libera, mentre noi litigavamo su parole senza la minima conseguenza sulla realtà. Ci si deve liberare dell'assurda convizione che sia questione di competenza (da quale mente di tecnocrata fascista è stato partorito un simile concetto???) e che un'idea debba piacerci, non già essere valida, per essere condivisa. Altrimenti continueremo a discutere di quale negozio ha la vetrina più bella, mentre Equitalia ci pignora i mobili.

Nessun commento:

Posta un commento