mercoledì 27 novembre 2013

Hacer patria


Cari lettori, se ieri ho elucubrato dopo pranzo, oggi elucubro dopo cena. La notizia del giorno è la decadenza di Berlusconi, ma io me ne infischio, e vi parlo dei miei scalcagnati percorsi mentali. Purtroppo io non riesco a sentirmi parte della vita pubblica di questo paese, non riesco a gioire della fine politica di uno dei più abili e astuti criminali della storia d'Italia, perché mi pare che la fila per rimpiazzarlo sia lunga. Magari non sarà una singola figura, ma una pletora di felloni. Il fellone organico. 

Dunque, via all'elucubrazione. Ho appena terminato la lettura del Saggio sulla rivoluzione di Carlo Pisacane, di cui abbiamo già parlato in un precedente post. Ricordate l'illustrazione del sussidiario che lo raffigurava? Quell'immagine era il prodotto di un Risorgimento ben diverso da quello auspicato dal martire di Sapri, e della susseguente deriva verso il fascismo. Pisacane sapeva bene che i vincitori si scrivono la storia a loro uso e consumo, ma forse mai avrebbe potuto immaginare di esssere trasformato in uno dei simboli di un processo unitario costruito sulle macerie del suo Sud. Si fa presto a dire "patriota". La patria che sognava Pisacane era repubblicana, socialista e sovrana, libera da qualsiasi ingerenza straniera. Alla repubblica ci siamo arrivati, con grandissima fatica, ma tanto il socialismo quanto l'effettiva sovranità ci sfuggono ancora.

Per dirla tutta, Pisacane era a favore di un socialismo libertario e federalista, in cui mai si sarebbe potuta creare una questione meridionale (concetto su cui torneremo). Bene, a questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: perchè un partigiano della libertà e dell'uguaglianza è stato disposto a sacrificare la vita all'idea di nazione? E perchè questa idea ha poi assunto una connotazione negativa nel discorso marxista e, più in genere, di sinistra, europeo?

La risposta mi sembra piuttosto semplice: la casa non è, come concetto in sè, nè bella nè brutta. Dipende da come la costruisci. Pisacane capisce che per essere liberi nel mondo in cui vive bisogna stare in una casa grande, e che se non si erige quell'edificio si resterà schiavi dello straniero. Non è che a lui facesse specie la schiavitù solo nel caso in cui il padrone fosse straniero, infatti parla di abolizione dei titoli nobiliari e della proprietà privata. L'idea centrale del libro è, in buona sostanza, che senza patria non c'è libertà e non c'è uguaglianza. 

Questa stessa idea la si ritrova tradizionalmente non solo nei processi di liberazione delle colonie, come è piuttosto ovvio, ma anche poi nelle rivoluzioni di ispirazione marxista. La patria può essere più piccola (Cuba, ad esempio) o più grande, come quella sognata da Bolivar e dal Che, ma comunque non è mai assente dal discorso rivoluzionario comunista e socialista, particolarmente in Sud America. Non lo è neanche oggi che l'indipendenza politica è ovunque un processo compiuto. Ma il fatto di avere una bandiera e un governo formalmente indipendente non vuol dire certo avere la casa comune cui accennavo prima. Lo sapeva bene il Comandante Chavez, che tanto insistè sul concetto di "hacer patria", costruire la patria. Perchè quella ereditata dal passato, architettata dalla borghesia a suo uso e consumo, non era abitabile.





Di come si costruiscano le patrie borghesi abbiamo un tragico esempio proprio qui in Italia, del quale Gramsci fa un resoconto puntuale e una critica penetrante nella Questione meridionale. La spaccatura in due del paese, prodotto di un'unificazione in chiave imperialista ed espansionista, è identificata come uno dei motivi della debolezza e dell'inefficacia del partito nell'organizzazione delle masse popolari. Il Sud, ridotto alla miseria, al degrado materiale e morale e alla virtuale assenza di una vita civile, rappresenta il vero tallone d'Achille del movimento operaio. Il fascismo, con il suo patriottismo retorico e di facciata, non risove il problema, e l'antifascismo soccombe anche per quello. Il risultato della mancanza di una patria lo abbiamo sotto gli occhi: una "casa comune" più simile a un appartamento di studenti fuorisede, in cui tutti sporcano senza pulire, rompono senza preoccuparsi di riparare, e quando metti qualcosa in frigo devi stare attento che non se la mangi qualcun altro. Della vita pubblica siamo, tuttalpiù, spettatori. Milioni di italiani oggi hanno seguito le votazioni per la decadenza di Berlusconi da senatore. Molti esultano, e me ne sfugge il motivo. Sono gli stessi che alla prossima scempiaggine commessa dal PD dichiareranno sui social network di vergognarsi di essere italiani. Io non mi vergogno di quello, semmai del fatto che l'Italia non è la mia patria. Allo stesso modo mi rendo conto di quanto sia necessario che lo diventi. Perchè chi non ha una patria è, e sempre sarà, uno schiavo.


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