lunedì 29 settembre 2014

La vecchiaia e la morte

Cari amici, se avete il masochismo di seguirmi con regolarità saprete che non parlo quasi mai dei fatti miei, per un semplice motivo: io non ce li ho, i fatti miei. Io non ho una vita degna di tale nome. O, per meglio dire, non ce l'avevo fino a una settimana fa. In pochi giorni di vita a Genova ho avuto tre chiamate per supplenze da scuole pubbliche e un colloquio con la preside di una paritaria. Preside la quale mi ha contattato mezz'ora, non vi dico fesserie, mezz'ora dopo aver ricevuto la mia email. Due sono, dunque, le constatazioni da fare: la prima è che pare comincino a esserci le basi materiali affinché io possa avere una vita; la seconda, che farà arrabbiare qualcuno di voi solo in quanto profondamente, amaramente vera, è che Napoli è un cadavere.

Genova, capoluogo della Liguria, regione più vecchia d'Italia, sarà pure una sonnolenta ottuagenaria; nei pochi giorni trascorsi qui, questa è l'impressione che mi ha dato. Ma la differenza fra un'ottuagenaria e un cadavere è ben chiara a tutti, voglio sperare. Sarebbe alquanto increscioso se quel practical joke che è lo stato italiano, per risparmiare sulla spesa pensionistica, cominciasse a interrare anziani. Gente che non è morta, ma che lo sarà presto, mi direte; e un giorno questa grottesca logica potrebbe non essere tanto lontana dalla realtà. Intanto, però, il vegliardo deambula, lento pede come gli si addice, e si gode la vita in una città rilassata e rispettosa degli spazi personali. Lo sapevate che la croce di San Giorgio, vessillo della perfida Albione, è stata a questa concessa in uso dai Genovesi? Sembra che il vostro Bradipo non sia finito per caso in questa città. Qui i vicoli sono più stretti che a Napoli, ma la gente non ti sale addosso. Il mio spazio è il mio spazio. Se pensate che questa sia freddezza vi consiglio di provare a stare una settimana senza essere praticamente aggrediti ogni volta che uscite di casa. Ma stiamo divagando. Torniamo a parlare di morte.

Ci sono tre cose che si possono fare con i morti: la prima è mangiarli, ma non ve la consiglio se eravate legati al defunto, la seconda è sotterrarli, e la terza è mummificarli. Quest'ultima è la sorte toccata alla mia città. Imbalsamata, messa in una teca e preservata in saecula saeculorum dal contatto col mondo dei vivi. Napoli è un bellissimo cadavere, ed è lodevole cercare di strapparla all'orrore della putrefazione e alla tristissima sorte dell'oblio; ancora più lodevole sarebbe provare a resuscitarla. Le possibilità sono pochissime, praticamente nulle. Me ne rendo conto. E certo non saranno gli abitanti di questa specie di santa reliquia, abitudinari come il sangue di San Gennaro, a dare la spinta necessaria per strapparla alla morte.

Beh, che vi devo dire? Io corteggerò la mia vecchietta cortese e arzilla, passeggerò con lei sul lungomare allagato dal sole, seguirò una frugale dieta di focacce e trenette al pesto (i vecchi, si sa, mangiano poco), e invecchierò con lei guardando placidamente un tramonto dopo l'altro, quando il sole si va a coccare a mare e muore sereno nel suo letto dorato, dopo aver vissuto.  

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