martedì 17 marzo 2015

Giovani merda


Cari amici, buonasera. Come vedete, oggi sono di umore particolarmente positivo. Sarà il tempo marzolino, questi ultimi scampoli di inverno che assalgono i miei seni paranasali, sarà la sconfitta con il Verona che non riesco ancora a digerire, fatto sta che mi trovo in uno stato d'animo che somiglia a questo cielo genovese: grigio e pesante. Come sempre, da buon apprendista vecchio (l'unico mestiere veramente nobile, sto cominciando a pensare), reagirò formulando critiche. Quella di oggi, come capirete facilmente dal titolo, è rivolta ai giovani.

Per secoli i giovani non sono stati altro che individui anagraficamente definiti, inseriti in una certa fascia d'età, dalla quale sapevano bene che sarebbero progressivamente usciti per entrare in un'altra. Ciò che li rendeva tali era il fatto di avere poco passato e tanto futuro. Siccome "del doman non v'è certezza", costoro si sforzavano di essere lieti e di godersi la vita. Erano insomma persone ragionevoli, sebbene di scarsa esperienza.

Poi, nella seconda metà del Novecento, abbiamo cominciato a parlare di loro come se fossero una specie animale a parte. I giovani sono stati indagati, analizzati, rivoltati come calzini, perchè gli "adulti" non li capivano più. Non era successo niente di strano, semplicemente che quegli adulti avevano smesso di essere ragionevoli, facendo in mezzo secolo due guerre mondiali e svariati milioni di morti, inaugurando nel mentre l'arma atomica. I giovani non potevano più fare finta di niente, e raccogliere con nonchalance il testimone di quella follia organizzata. E allora si appartarono, o per evadere o per provare a immaginare alternative al mondo minaccioso e inospitale che stavano per ricevere in eredità. O magari per fare entrambe le cose insieme.

Successivamente, una nuova catastrofe si è abbattuta sulla specie umana: la cosiddetta "fine delle ideologie". La qual cosa si è tradotta, tragicamente, nella fine delle idee, la fine del pensare. Ormai anche concepire un'alternativa è diventato impossibile. Ci hanno ficcato  a martellate nella testa l'idea che non dobbiamo più seguire nessuna bandiera, e siamo rimasti fermi. Per evitare di sposare dogmi, abbiamo svuotato il cervello, e non siamo nenache più in grado di formulare giudizi di valore sulle cose che ci riguardano. Alla testa di questo cambiamento epocale ci sono i giovani. Un esercito di morti viventi che davanti non ha niente, ma proprio niente, e non se ne cura. Nella migliore delle ipotesi, se vengono da famiglie colte, se gli hanno messo in mano qualche libro, usano gli strumenti che hanno acquisito per lamentarsi in modo insopportabilmente petulante delle loro innumerevoli paturnie. Sono vittimisti, autoindulgenti, profondamente alienati (un'alienazione che non subiscono, ma abbracciano con entusiasmo). Sono incoscienti, terrorizzati dalla libertà, assuefatti alla propria subalternità. Quando anche si ribellano, la loro è la logica dell'ammutinamento, non di una contestazione minimamente strutturata e consapevole. Questi giovani non sanno cosa sia un adulto, e non lo diventeranno mai. Diventeranno vecchi senza passare per il "via", e passeranno chissà quanti turni in prigione. Avranno solo imprevisti, nessuna probabilità di successo individuale o collettivo.

Io, cari lettori, sono nel mezzo del cammin di nostra vita. Ho qualcosa dietro, e davanti un cammino da fare che, date le circostanze, mette paura. Non posso trainare anche questo esercito di zombie. Ci sarà un buco grande così nella Storia, non ci possiamo fare niente. Possiamo solo ripararci sotto l'ombrello del nostro vissuto e aspettare che passi la nottata. I primi raggi del sole disperderanno queste tristi ombre, e potremo allora illuderci di aver solo sognato tanto orrore.

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