martedì 10 marzo 2015

Il pesce puzza dalla testa



Cari amici, sono imperdonabile. Vi ho abbandonati per tanto, troppo tempo. Naturalmente ho una buona scusa per questo comportamento inqualificabile: mi sono cimentato nel difficile compito di insegnare qualcosa agli alunni di un istituto alberghiero, nel 2015, in Italia.

Alla ricerca disperata di riscontri positivi, ho tentato diversi approcci, alcui più confacenti alla mia natura e alle mie convinzioni, altri un po' meno. Mi sono messo in discussione, ho coltivato il dubbio nel mio personale orticello morale. Mi sono intostato e mi sono ammosciato, ho ricompensato e punito, ho minacciato e blandito, per poi tornare esattamente al punto di partenza. E ciò che ho imparato da qesto breve percorso di dubbi e tentativi empirici è che il pesce puzzza dalla testa.

Molti insegnanti, soprattutto della vecchia guardia ma non solo, sono convinti che la scuola debba contrastare la diffusione di quella barbarie ben confezionata che ci viene inoculata ogni giorno attraverso l'opera nefasta dei mass media. Altri, più in linea con lo spirito di questi tempi oscuri, ritengono che si debba invece tuffarsi nella modernità e cercare di rendere attraente l'insegnamento. Trovo quest'ultima idea bislacca, essendo convinto che l'apprendimento richieda sforzo e autodisciplina, e che l'unica vera motivazione per chi studia debba essere la curiosità intellettuale; ma anche la prima, seppure generata dalle migliori intenzioni, finisce nella pratica per fallire, creando barriere generazionali, sfiducia e disistima reciproche.

Arriva ciclicamente, nella mia attività di blogger come nella mia vita professionale e non, un momento in cui vorrei essere molto più colto e intelligente di quello che sono. Quel momento è arrivato proprio adesso. E, come sempre, l'ho accolto con soddisfazione, perché sta a significare che non sono una cosa fatta e finita, ma suscettibile di miglioramento. Alberga in me (in quanto docente dell'alberghiero) quello che Paulo Freire chiama "la vocazione ontologica e storica ad essere di più". Chi non ha voglia di imparare non sente questa vocazione, perchè percepisce il mondo, e se stesso in quanto parte di esso, come qualcosa che non può essere modificato, come un semplice sfondo della propria vicenda biografica. Questa concezione è tipica di chi, per un motivo o per un altro, vive ua condizione di subalternità: se non ho potere, se non posso fare cose che producano risultati, modifiche sostanziali nell'ambiente che mi circonda, non ha senso imparare.

Di chi è la colpa, se nella scuola oggi regnano la strafottenza, l'indifferenza, la sfiducia? Ve lo dico subito: è di chi l'ha trasformata, da luogo di formazione e apprendimento, in un terreno di caccia per manager e uomini d'affari; di chi l'ha riempita di distributori di merendine, mentre il gesso va razionato; di chi ha fatto diventare la didattica un orpello pressoché inutile, una velleità da idealisti. Di chi l'ha resa un agente di repressione. Identificarsi con questa istituzione non ha più il valore che aveva venti o trenta anni fa. Gli alunni non la rispettano più, perché percepiscono, probabilmente con ua certa chiarezza, l'abisso in cui una scelleratezza bipartisan la sta facendo sprofondare. E, cosa ancora più importante, perché commettono il tragico errore di scambiare per libertà lo spaventoso vuoto che si portano dentro per colpa di questa scuola e dei mutamenti sociali e politici agghiaccianti che l'hanno generata. Il che lascia un'unica opzione aperta all'insegnante che ragiona in un'ottica di contrapposizione: l'autoritarismo, che fatalmente lo porta ad allinearsi con la politica di repressione di cui sopra.

E il vostro Bradipo, il vostro umile servitore, come si pone davanti a tutto questo? Beh, come al solito. Procede a tentoni, come si addice ai tardi di comprendonio. Coltiva il dubbio, unico antidoto che abbia mai trovato contro il pubblico ludibrio. Cerca la propria collocazione, barcamenandosi fra nefandezze di vario genere e provenienza. E si ricorda, periodicamente, di quanto sia fuori luogo prendere troppo sul serio una umanità bambina che continua a fare i capricci perché non vuole crescere.


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