giovedì 19 marzo 2015

Bartleby lo scrivano


Herman Melville ha dato vita a personaggi inquetanti. Proverbiale il capitano Achab, il marinaio ossessionato dalla balena bianca fino al punto di perdere la vita nel vano tentativo di catturarla. Un altro di quei personaggi è Bartleby lo scrivano, protagonista dell'omonimo racconto. Si tratta di un impiegato che ogni giorno siede in silenzio al suo posto in un mesto ufficio della New York di metà Ottocento e copia documenti. Bartleby non sembra avere un passato, né una personalità. Non parla con i colleghi, né con il capufficio, del quale suscita talvolta il risentimento con il mutismo nel quale si ostina a chiudersi. Esegue i propri compiti in modo pedissequo e non mostra il minimo spirito di adattamento, né la minima creatività di fronte alle difficoltà. Non è indifferente solo agli altri, ma anche a se stesso. Gradualmente, perde ogni interesse nel proprio lavoro, e smette dunque di eseguirlo. Il principale, pur essendo infastidito dal suo comportamento, lo prende a ben volere, rinunciando a licenziarlo nonostante sia ormai del tutto improduttivo. Quando scopre che Bartleby abita nell'ufficio, anziché cacciarlo o chiamare la polizia, trasferisce la sede dello studio legale. Saranno però i nuovi inquilini a farlo arrestare. Eppure perfino in carcere, dove il capufficio va a trovarlo in un estremo tentativo di salvarlo, Bartleby continua a mostrarsi indifferente a ogni cosa.

Perché vi parlo di questo signore, cai lettori? Perché oggi, grazie a uno dei miei alunni, ho avuto un'epifania. Ho capito in che direzione vanno le riforme della scuola vergognose che ci rifilano da 20 anni a questa parte: nella direzione di Bartleby lo scrivano. Vanno verso la creazione di un esercito di copisti apatici, senza fantasia, senza slanci,  capaci di accettare passivamente un destino infinitamente grigio e triste. Sterili, improduttivi, morenti fin dalla più giovane età. Per questo si rifiutano ostinatamente di dare vita a un lezione dinamica e partecipata. Scrivono, copiano dalla lavagna, riproducono ciò che altri hanno prodotto. Ad ogni tentativo di scuoterli dal torpore in cui si trovano (nonostante un dinamismo esteriore tanto più amaramente ironico in quanto contrasta con il totale immobilismo della loro vita intellettuale), rispondono come Bartleby "preferirei di no".

Io, del resto, sono un po' come il capitano Achab: non voglio darmi per vinto. Continuo a inseguire il mostro degli abissi, non mi darò pace fin quando non ne avrò fatto saponette e calzascarpe. Se dovessi sopravvivere, chiamatemi Ismaele; in caso contrario, affidate a Bartleby le pagine di questo umile blog, affinché possa divulgarle fedelmente ai posteri...

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