giovedì 6 agosto 2015

Una vita violenta


Penso che chiunque anbbia letto Una vita violenta di Pasolini sia rimasto profondamente colpito dal passaggio sulla rapina al benzinaio. Tommaso e gli amici devono fare serata e sono rimasti senza soldi; qualcuno suggerisce di "prelevarli" da uno qualsiasi dei benzinai dei paraggi, che in quella zona isolata dopo il buio diventano prede facili. Il povero cristo viene lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, e la combriccola se ne va a ballare, o all'osteria, adesso non ricordo.

Pierpaolo Pasolini aveva capito una cosa molto importante dell'epoca che stiamo vivendo. Qualcosa che nei suoi anni germinava, e che oggi impera come legge suprema del sociale: la ferocia disumana della logica del consumo. Il modo in cui disgrega le comunità, ci isola, ci pone in antagonismo gli uni con gli altri. In particolare Pasolini ce l'aveva con la televisione, quella cosa che poteva parlarti senza darti la possibilità di rispondere. La modalità stessa della "civiltà dei consumi" è violenta: crediamo di essere liberi, ma non possiamo fare altro che scegliere fra un certo numero di alternative, tutte eteroprodotte, e quindi tutte, in ultima analisi, imposteci. Secondo questo fesso (se dico "fesso" ovviamente non parlo di Pasolini ma del Pier Paolo reoconfesso di tale condizione) tale violenza non potrà essere sradicata fin quando i lavoratori non controlleranno tutti i processi di produzione e distribuzione della ricchezza, creando così un'essenziale identità fra la condizione di produttore e quella di consumatore. Perché allora saremo necessariamente responsabili di ciò che consumiamo.

Ma un simile stato di cose è, purtroppo, remoto dalla realtà che ci avviluppa. Se mi guardo intorno, in questo bislacco angolino di Italia in cui sono capitato, vedo un sottoproletariato morale dedito al gioco d'azzardo, alla dipendenza da alcol e droghe, alla microcriminalità e a mille forme, più o meno gravi, di prevaricazione. Prevaricati, prevaricano. Replicano modelli eteroprodotti. Litigano, si mandano a quel paese, qualche volta vengono alle mani, e qualche volta spaccano qualche bottiglia per mostrare i denti. Devono avere certamente "la guerra in testa", come si dice a Napoli. La guerra in testa come Tommaso Puzzilli e i suoi compagni di scorribande, vittime e carnefici allo stesso tempo; perchè una cosa non esclude l'altra, sapete. 

Il bislacco angolino di mondo di cui parlo è il centro storico di Genova. Io abito a Piazza San Luca, a due passi dallo stazionamento dell'autobus numero 1, dove un paio di settimane fa hanno ridotto in fin di vita un poveraccio. I giornali hanno parlato di omofobia. Che volete fare, non è più stagione di cervelli, sui giornali non scrive più un Pasolini, e si vede. L'omofobia, fidatevi, è assolutamente marginale in questo episodio. Il movente dell'aggressione poteva essere "mi hai pestato un piede" o qualunque altro. Il branco ha individuato una vittima e ha proceduto a demolirla. Anche la violenza gratuita è un consumo. L'aggredito ha assolto a una funzione precisa: quella di permettere agli aggressori di sfogare un qualche bisogno che sarebbe necessario uno psicopatologo criminale per definire esattamente, quel bisogno che il sapere popolare identifica tradizionalmente con il prurito alle mani. La vittima è stata reificata, perchè agli occhi degli aggressori era, a tutti gli effetti, una cosa. Lungi da me sollevare gli autori di questo odioso gesto dalle loro responsabilità, ma se episodi simili, disgraziatamente, sono così frequenti, c'è un motivo. Succede perchè una determinata organizzazione sociale ed economica ci costringe a vivere un certo tipo di vita. Una vita violenta. 

2 commenti:

  1. Interessante il fatto che in Venezuela abbiamo coniato un neologismo significativo: "prosumidores", in riferimento a chi partecipa ai mercati comunitari dove tutti sono produttori e allo stesso tempo "consumatori".

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  2. infatti. purtroppo (per loro) loro fanno quello che noi non riusciamo che ad auspicare...

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