martedì 17 gennaio 2017

Aristocrazia per tutti

- Cos'è che beviamo, Calboni?

Quella merdaccia di Calboni, essendo un fasullo da capo a piedi, sa bene come darsi un tono. Il geometra partorito dalla penna di Paolo Villaggio è maestro dell'arte del far vedere. Solo che, come tutti coloro che si arrampicano sul palo ben oliato dell'ascesa sociale, è a rischio continuo di rovinosi scivoloni. Fantozzi e Filini, che si portano la Prunella Ballor da casa, potranno non rendersene conto, ma chiunque abbia tanto così di cultura e di mondo visto e vissuto capisce quanto sia tristemente inferiore il maschio Alfa della megaditta. Non inferiore per aver avuto la sfortuna di nascere all'estremità sbagliata dei rapporti di produzione; inferiore perchè si vergogna di essere ciò che è, e prova a essere altro; e dunque ha accettato come un dato di fatto scontato, che non necessita di essere argomentato e dimostrato, figuriamoci affermato con la forza, la propria inferiorità.

E adesso accantoniamo il pessimo Calboni, e diamo uno sguardo a Mr. Wemmick, l'impiegato che prende Pip a ben volere in Grandi Speranze di Dickens. Wemmick vive in un castello con tanto di ponte levatoio, in cui si prende cura dell'anziano genitore e porta avanti un legame affettivo tenero e sincero con la fidanzata, Miss Skiffins. Se il giorno del suo matrimonio con quest'ultima Wemmick esce con una canna da pesca in spalla non è perchè si vergogna di quell'amore, ma piuttosto per difendere il proprio mondo affettivo e morale da quello ricco, potente, magari anche titolato ma essenzialmente plebeo nel peggiore dei sensi. Quello del suo datore di lavoro, l'avvocato senza scrupoli Mr. Jaggers, che vive e prospera raggirando il prossimo. In my private and personal capacity è la formula, buffamente ricalcata sul gergo legale, che utilizza ogni volta che vuole marcare il confine fra la merda che gli tocca mangiare in ufficio e la vita degna, addirittura esemplare, che si è costruito stoicamente nella dimensione personale.

Un mio amico sosteneva, in una conversazione su Facebook, che l'educazione (o istruzione, chiamatela come preferite) è per sua stessa natura aristocratica. Io sono d'accordo, ma bisogna intendersi sul significato dell'aggettivo. Oggi ho fatto verifica in 4A, e gli esiti sono stati sorprendenti. Per una volta, in positivo. Non che siano andati tutti benissimo, intendiamoci. Il punto è che certi 5 sono diventati 7, e certi 6 si sono trasformati in 8. Questo nel giro di un paio di mesi. Senza che io andassi incontro a uno stuolo di alunni "invalidi" semplificando i quesiti. Semplicemente, alcuni ragazzi avevano deciso che volevano fare meglio. Per dirla con Freire, ascoltare la propria vocazione storica e ontologica a essere di più. Questa è, in buona sostanza, "l'aristocrazia borghese" di Wemmick: la possibilità, la scelta di evolversi, di migliorare senza per questo sottrarre alcunché agli altri, l'unico argine che ci dà qualche speranza contro i Jaggers e i Calboni di questo mondo. Un ponte levatoio che si alza e si abbassa quando lo diciamo noi, in barba a tutti i soldi e tutto il potere dei veri plebei. Fino a quando il mondo non sarà una pacifica, consensuale confederazione di uomini e donne pienamente sovrani su se stessi.

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