venerdì 16 novembre 2012

Bravi, così si fa


Allora, nei giorni passati non ho scritto niente, un po' perchè avevo altro per la testa, un po' perchè sono in una fase di strafottenza totale rispetto al mondo universo, un po' perchè dovevo metabolizzare. Le ultime due ragioni sono in qualche modo collegate al fatto che c'è tanta idiozia là fuori. Ma proprio tanta. E siccome la stragrande maggioranza dell'umanità non si vuole togliere il vizio di attribuire automaticamente autorevolezza a quello che proviene dalla carta stampata o dallo schermo televisivo (siamo essenzialmente rimasti al livello di impressionabilità degli antichi aztechi che si offrivano docilmente al sacerdote per farsi sacrificare a qualche dio serpente dal nome irriproducibile), mi dicevo "ma che scrivi a fare?" La mia idea, nella sua banale semplicità, può essere più valida di quella di un Saviano (ci vuole veramente poco), ma siccome lui è un eroe della legalità e io uno stronzo qualsiasi, alla fine nelle teste vostre e di milioni di altri italiani restano le cazzate di Saviano, e non i miei tentativi di ragionamento. Anche adesso, leggendomi, probabilmente starete sorridendo, pensando che deve essermi andato di volta il cervello, a volermi mettere con Frà Roberto Savianarola, santissimo e dottissimo uomo di lettere e di pensiero.

Il nostro Don Roberto stavolta sforna un volto inedito e insospettato, quello dell'hippie che vuole mettere i fiori nei cannoni, e invita i poliziotti a unirsi ai manifestanti anziché picchiarli. Il furbacchione in questo modo raggiunge un duplice obiettivo:

1) oscura le ragioni della violenza, mettendo il discorso su un piano che non è politico, ma che fa appello alla naturale ripugnanza che OGNUNO DI NOI prova nei confronti della violenza stessa.

2) simula simpatia con chi scende in piazza, e in particolare con la componente studentesca, che è probabilmente quella che più gli interessa. La stessa cosa cercò di farla, in modo forse un po' meno sottile, con un articolo dell'ottobre 2010 su Repubblica. Anche lì, solidarietà agli studenti e rifiuto della "violenza".

Oggi sono venute fuori nuove immagini, quelle dei lacrimogeni sparati dalle finestre del Ministero della Giustizia. Non credo vada commentata la ridicola giustificazione offerta da alcuni rappresentanti delle forze del disordine, evidentemente estranei al concetto di vergogna, secondo cui i lacrimogeni sarebbero stati sparati da terra, per poi rimbalzare sulle pareti dell'edificio. Fanno il paio con la teoria sul proiettile che uccise Carlo Giuliani, che sarebbe stato deviato in volo da un calcinaccio. Quelle immagini chiariscono perfettamente a chi non abbia paura di guardare in faccia la realtà che ormai siamo nell'anticamera dello stato di polizia, se non ci siamo già del tutto dentro. La violenza poliziesca non è opera di alcune mele marce, è ciò che si chiede a queste persone. E allora mi rendo conto che potrebbe sorgere in qualcuno la domanda: ma perchè un ragazzo come tanti (lasciamo da parte quelli che ci provano gusto) arriva a farsi strumento di una repressione brutale e sistematica del diritto di manifestare?

Proviamo a inventarci una storia. Una storia che, per risultare credibile, abbia i crismi della verosimiglianza. Diciamo che ieri a Roma è sceso in piazza Giorgio, studente ventiquattrenne di Lettere. Giorgio studia a Roma, ma non è romano; è di Rieti, e per mantenersi agli studi in una città così cara lavora part time in un call center per 400 euro di fisso più i bonus. La famiglia deve comunque aiutarlo, altrimenti non ce la farebbe. Quando uscirà dall'università ci sarà poco ad aspettarlo, professionalmente parlando. Probabilmente cercherà di fare qualche straordinario al call center, mentre cerca una sistemazione più adeguata (che chissà quando troverà). Dall'altro lato c'è Mario, un ragazzo calabrese di 23 anni. Lui si è arruolato in polizia, guadagna circa 1200 euro al mese. Fissi. Vive nella stessa società di merda, senza luce e senza aria, però ogni tanto gli offrono la possibilità di sfogarsi su qualche "zecca". Gli capita, ogni tanto, di dover subire piccole angherie da parte dei suoi superiori, ma tutto sommato non si lamenta. Fa parte di un gruppo lavorativo molto coeso, in cui vige un forte spirito di corpo. Sa che, se anche qualche volta gli capitasse di esagerare con il manganello, incontrerebbe comprensione. A differenza di Giorgio, non ha voluto studiare, e non saprebbe nemmeno indicare Rieti sulla cartina. Ma è robusto e non ha paura di niente, e così fa fruttare le sue doti nel modo migliore che ha a disposizione.

Ora, perchè una società tratta Mario meglio di Giorgio? Perchè il primo serve a chi comanda, il secondo no. Semplice, banale, ma vero. Ricordate i Promessi Sposi (chi avrebbe mai pensato che li avrei citati su questo blog...)? Don Rodrigo non va da nessuna parte senza i bravi; gli servono a difendersi, certo, ma anche e soprattutto a incutere timore, a spingere Don Abbondio ad agire contro coscienza. Voi pensate che oggi i poliziotti e i carabinieri siano servitori dello "stato", e quindi nostri? Ma quale stato? I bravi sono di chi li paga. I bravi sono bravi quando fanno i bravi, non quando fanno i bravi. Perdonatemi, non ce l'ho fatta, la tentazione è stata troppo forte. Torniamo a Don Abbondio, il famoso "vaso di terracotta". I bravi hanno gioco facile perchè sanno che ha paura di rompersi. Se i bravi di oggigiorno sparano lacrimogeni in faccia a chi protesta, è per rompere i vasi di terracotta. Non criticateli, non ha senso: stanno facendo i bravi. Per quanto riguarda noi, si tratta solo di scegliere fra la paura di rompersi e quella di essere lasciati a marcire in un seminterrato senza luce e senza aria.
 

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