domenica 31 marzo 2013

Il calvinista


Signore e signori, mi presento. Il mio nome è Pier Paolo Palermo, e sono un calvinista. Mi piace lavorare, e mi piace il lavoro. Lo ritengo l'aspetto più importante e più straordinario dell'esperienza umana. Non so se ci farà entrare in Paradiso, ma sicuramente non c'è progresso fuori di esso. La storia dell'evoluzione della specie umana coincide con la storia dell'organizzazione del lavoro. Più l'uomo impara, più impara a fare, più è in grado di modificare il mondo che lo circonda. Di renderlo più ospitale, più sicuro, più predisposto ad essere ulteriormente migliorato in funzione dei bisogni e delle aspirazioni umane. 

Dal Medio Evo a oggi, la storia del continente europeo può essere vista come un continuo, strenuo tentativo di liberare il lavoro dal giogo del potere politico, da parte di coloro che attraverso il lavoro cercavano di migliorare la propria sorte, anzichè continuare a trascinarsi stancamente nel solco tracciato dai padri. Il lavoro è rivoluzionario, nel momento in cui si interpreta come opportunità di crescita individuale e collettiva, e non come un infausto destino.

Ma che discorsi fai, Bradipo? Sembra di leggere uno di quei siti Web aziendali in cui si parla di vision e mission! Se avete questa impressione, è evidentemente perchè il vostro concetto del lavoro è figlio di un'epoca senza slancio, più vicina allo spirito del contadino feudale che non a quella del mercante tardomedievale. In realtà, se andiamo a (ri)leggere i classici del socialismo, tanto sul versante marxista quanto su quello libertario, troveremo unanimi riconoscimenti dei meriti storici della borghesia, della sua intraprendenza, della sua alacrità. Giustizia, uguaglianza, solidarietà, sono tutti concetti che dobbiamo alla borghesia; prima che arrivasse lei a sparigliare l'ordine feudale, esistevano solo Dio e il Re, e il loro volere. 

Obiezione: ma la borghesia si è arricchita attraverso lo sfruttamento del lavoro! Stai forse elogiando il capitalismo, dannato mammifero arboricolo? Assolutamente no. Ma il fatto che in un regime di proprietà privata il lavoro sia schiavitù, nè più e nè meno che in sistema feudale, con la differenza che la necessità di soddisfare dei bisogni si sostituisce all'istituto della servitù della gleba, non cancella il fatto che il lavoro sia in potenza un fattore di progresso. Va organizzato, tutto qui.

Nel corso del Novecento sono emersi nella prassi due modelli, o meglio una serie di modelli riconducibili a due tipi fondamentali. Uno, molto più rodato, con più partigiani, in breve più forte; l'altro più giusto, ma più debole, per una serie di motivi che non è certo questa la sede per affrontare. La sintesi fra questi due modelli ha prodotto la socialdemocrazia, che senza voler andare troppo per il sottile potremmo descrivere come un capitalismo "attenuato". Il lavoro è comunque ridotto alla condizione di merce, ma lo sfruttamento del lavoratore è quanto più possibile regolamentato, per assicurargli un'esistenza che non si discosti troppo dalle nozioni di dignità e benessere condiviso. Un compromesso che si potrà giudicare più o meno positivo, ma pur sempre un compromesso. L'unica forza attiva restava il capitale, con il lavoro in catene. I deboli lacci che vincolavano il capitale non potevano durare a lungo, e difatti sono stati strappati. Oggi il lavoro è quanto mai mortificato, i lavoratori hanno meno diritti di quanti ne avessero i loro genitori. Non hanno rispetto, non hanno amore per il lavoro (e in effetti, in quanti possono permettersi questo lusso?), ma di riflesso godono del benessere accumulato dalle generazioni passate. Un benessere per cui non hanno lavorato.

Gli italiani non vogliono farsi mettere le mani in tasca. Gli italiani non vogliono perdere il diritto al benessere. Gli italiani ce l'hanno con la casta. Gli italiani si devono svegliare. Mi forzo a dirlo, perchè ho ancora nella memoria tutti quegli atroci "ITALIANI SVEGLIA!!!" che circolavano su Facebook dopo le elezioni, in relazione al risultato positivo del PDL. Ma state tranquilli, non ce l'ho con Berlusconi. Sto cercando di fare un discorso serio, una volta tanto. Gli italiani si devono svegliare, e devono capire che la ricchezza si produce attraverso il lavoro. E che i piccoli privilegi, gli sgravi fiscali, i BOT e le azioni della Telecom non li salveranno dalla recessione che ci sta facendo a pezzi. Bisogna riscoprire il lavoro, imparare a rispettarlo, comprenderne l'insostituibile ruolo di motore del progresso sociale. Bisogna capire che è il momento di smettere litigare sulle briciole, e rimboccarsi le maniche. Rimettere il lavoro davanti a ogni altra cosa. Il socialismo non è più un'utopia; è una necessità. Il Paradiso non esiste, ma si può costruire.

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