domenica 18 settembre 2011

Il dilemma di Vittorio Elia



Ogni anno, a Natale, io devo guardare Natale in casa Cupiello. Un po' come Don Luca deve fare il presepio; altrimenti non mi sembra Natale. Ora, essendo partenopeo, sono cresciuto con le versioni per la televisione delle commedie di Eduardo. Ero ancora un bambino quando ho assistito per la prima volta alle vicende di questa disgraziata famiglia; disgraziata in un modo così ordinario, così familiare per l'italiano del Sud, da farlo partecipare al suo dramma in modo ancora più intenso.

Ma se oggi mi appare chiara la centralità del tradimento di Ninuccia nell'impianto drammatico, da piccolo quell'aspetto mi risultava ostico, quasi incomprensibile. Pargolo qual ero, non capivo l'amore, la gelosia, la forza delle convenzioni sociali, il senso dell'onore, tutto ciò che muoveva la succitata Ninuccia, il fabbricante di bottoni Nicolino Percuoco e il magnifico villain Vittorio Elia. La mia attenzione si focalizzava sul modo di parlare desueto, anacronisticamente garbato, su quei gesti che il progresso tecnologico e scientifico ha reso superflui (come quello squagliare la colla che genera uno dei tanti piccoli litigi fra Luca e Concetta), e sulla comicità  di Tommasino e dei suoi battibecchi con i familiari. Certo, quegli elementi farseschi servono a creare un contrasto assolutamente tragico fra il mondo di Don Luca e quello di Concetta, di Ninuccia e dei due uomini che se la contendono. Ma il bambino questo non lo capisce; come Lucariello, crede che il mondo sia tutto un presepe, dove ogni pastore sta al posto suo e svolge la sua funzione senza cercare di uscire dall'ordine precostituito.

Ma, come ci insegna Cooper, "la comparsa dell'amore è sovvertitrice di ogni buon ordinamento sociale della nostra vita". E allora irrompe sulla scena Vittorio Elia, il quale non sa che farsene dei presepi, fatti di materia senza vita. Il suo sfotticchiare Don Luca la dice lunga sulla sua filosofia. Del resto, anche lui è una vittima, a modo suo. L'amore arriva e lo stravolge, lo priva del senno, lo porta a presentarsi a casa della donna che ama, benchè sappia benissimo che lì ci sarà il marito di lei. E Nicola Percuoco, come osserva Donna Concetta, "è un uomo positivo". Da lì il violento diverbio fra colui che Nina dovrebbe amare, se la vita fosse effettivamente un presepe, e l'uomo che invece ama, in barba ad ogni tentativo fatto in millenni di storia per incanalare le nostre vite su binari che ci impediscano di deragliare.

Ed ecco che, dopo anni passati a guardare lo stesso dramma ridendo di Tommasino che si vende le scarpe e il cappotto di Zio Paqualino, e senza capire che la vera cattiveria in quella storia era altrove, uno comincia a farsi giovanotto e a capire Vittorio Elia e il suo dilemma.
Non parlo del dilemma di Ninuccia perchè la sua posizione è molto chiara: costretta a sposare un uomo maturo che non ha mai amato per soldi, contravvenendo a un dettame della musica folk a livello mondiale, dal Salento all'Irlanda, trova in Vittorio una valvola di sfogo e una rivincita contro l'imposizione genitoriale; in particolare contro la madre, che come apprendiamo dai dialoghi l'ha a suo tempo abilmente manipolata, spingendola egoisticamente a fare della sua vita ciò che lei, Concetta, desiderava. L'amore per Vittorio Elia è la maturità sentimentale e sensuale di Ninuccia. No, il vero dilemma è quello di Vittorio, combattuto fra l'impulso a far sua Ninuccia in modo definitivo, e il timore di distruggerne la reputazione e condannarla a pagare il diritto alla felicità con la morte sociale.

Che cosa è giusto? Che cosa è sbagliato? Che deve fare Vittorio Elia? (provate a immaginare quest'ultima frase pronunciata da Eduardo, con il tono enfatico, quasi disperato a cui ricorre il povero Don Luca ogniqualvolta si trovi di fronte a qualcosa che non riesce a concepire). Chissà cosa vuole dirci lo stesso autore quando fa in modo, sul finire del terzo e ultimo atto, che un delirante Lucariello scambi Vittorio per Nicolino e metta la sua mano in quella di Ninuccia. Quando ero piccolo quella scena non la capivo proprio, e nemmeno mi rendevo conto della sua importanza. Oggi invece mi colpisce ogni volta che la vedo, e mi rendo conto che attraverso quella sequenza va letta tutta l'opera. Mo' uno dovrebbe avere ben altra scrittura per rendere giustizia a quel capolavoro di scena...Diciamo semplicemente che Luca Cupiello si è fatto il suo personale presepe, ha cercato di riparare una realtà rotta come la testa di uno dei suoi Re Magi; e la trovata drammatica straordinaria sta nel fatto che, in una incapacità ormai completa di leggere la realtà, ricompone gli elementi di quel presepe nell'ordine sbagliato. Come se a mezzanotte nella mangiatoia avesse messo Maometto, al posto di Gesù bambino. Eppure quel presepe, fatto così, è più bello. Sì, ho deciso. Io Vittorio Elia lo assolvo.


Il presepe più bello

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