venerdì 24 gennaio 2014

Il diavolo che conosci e quello che non conosci

Cari amici del Bradipo, se non siete ancora a conoscenza di questo fenomeno, lasciate che ve lo faccia presente: io sono tendenzialmente un incapace, un inetto, uno che di base fallisce nei suoi tentativi di impadronirsi della competenza. Quante ore ho passato con la chitarra in mano, solo per farmi respingere da lei come un amante indesiderato, che non sapeva toccare le sue corde! Meno male che le chitarre non possono denunciare molestie, altrimenti sarebbe da un carcere di massima sicurezza che scriverei queste righe. E tanti altri esempi potrei farvi, di risultati scadenti ottenuti in questa o quella attività.

In qualcosa ho raggiunto la sufficienza, come ad esempio nel fare il caffè, che  modestamente non mi riesce troppo male. Ma una cosa, almeno una, ho imparato a farla bene: parlare inglese. Sull'inglese non mi potete dire niente. Magari posso dire io qualcosa a voi, visto che pratico ossessivamente questo idioma; ho con esso un rapprto quotidiano e al limite della sensualità, perché mi sono reso conto che gli anglofoni, e in particolare i Britannici, sono gente che dà pane al pane e vino al vino, e questo mi piace molto. Gli Italiani sono bizantini, iper-ideologici, ridicolamente conservatori, fanno salti mortali pur di non cambiare idea (anche quando l'idea a cui si aggrappano con tanta pervicacia si è dimostrata ampiamente fallimentare). I Britannici no. Loro, quando vedono una vanga, la chiamano "vanga". Come tutti i popoli hanno il loro patrimonio di buonsenso accumulato in secoli di trasmissione orale di conoscenza empirica, e dunque un vasto repertorio di proverbi. Fra questi c'è il seguente: Better the devil you know than the one you don't. Meglio il diavolo che conosci di quello che non conosci. Come dicevo prima, "trasmissione orale di conoscenza empirica". Prima dell'affermazione del metodo scientifico, ogni innovazione è una scommessa. La gente è comprensibilmente riluttante a cambiare la via vecchia per la nuova, perchè le conseguenze non sono prevedibili in base allo studio di dati certi. E dunque spesso preferisce sopportare i mali presenti (the devil you know) piuttosto che rischiare di incappare in mali peggiori. Ma poi emerge una nuova stirpe di "dotti" che la Chiesa di Roma non può più ardere vivi, per varie ragioni, e si mette a giocare con i tubi e le provette. E piano piano costruiscono una conoscenza verificabile e rigorosa, basata certo su dati empirici, ma ottenuti in condizioni controllate e ripetibili. Nasce la scienza moderna.

Capirete, cari amici, che a questo punto io i diavoli li voglio conoscere tutti! Non ho più paura di loro. Anzi, semmai sarebbero l'ignoto, la superstizione, la magia che dovrebbero temere me, nelle loro incarnazioni squisitamente umane.
Un'incarnazione dell'ignoto, della superstizione e della magia. Un'incarnazione, peraltro, piuttosto in carne.
 
Questo, ovviamente, sempre che la scienza sia intesa come processo, e non come insieme chiuso di conoscenze e nozioni da trasmettere di generazione in generazione. E non è senza fatica che la prima accezione si afferma sulla seconda. Quando Darwin affermò che le specie animali e vegetali presenti sul pianeta erano il risultato di milioni di anni di evoluzione, e che in particolare la nostra si era evoluta a partire da un primate non molto dissimile dagli scimpanzè o dai gorilla, la comunità scientifica lo mise alla berlina. Evidentemente il DNA di quegli "scienziati" si era evoluto di meno, ed era più simile a quello del cercopiteco o come caspita si chiama che tutti dovremmo chiamare "nonno".
 
Non sono solo le scienze naturali a essere investite da questa rivoluzione. Anche nel campo delle discipline umanistiche (che non sono affatto vaghe e arbitrarie come a molti piace pensare) il diavolo non sa più dove nascondersi. L'inferno è un inganno che si può svelare. Grazie al rigore e allo spirito di indagine si può dare ragione, scientificamente, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'imperialismo, del razzismo, delle persecuzioni confessionali e di molti altri mali che purtroppo abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene. E così, dopo quella di Charles Darwin, un'altra illustre e folta barba si staglia all'orizzonte della Storia. Molti altri seguiranno questa tradizione di rottura, offrendo alla considerazione del pubblico i sistemi e strumenti di conoscenza più svariati, ma tutti comunque fondati sull'idea che la buona organizzazione della convivenza umana, del lavoro e del consumo, dell'istruzione e della correzione, delle forme di espressione del consenso e del dissenso siano questioni da risolvere scientificamente.

Questo perchè ormai il proverbio ha cambiato significato: il diavolo che conosci è meglio di quello che non conosci perché diventa inoffensivo. Si fa piccolo piccolo, abbassa lo sguardo e va via con la coda fra le gambe. E allora non dobbiamo rifuggirli, questi diavoli; li dobbiamo conoscere tutti, uno a uno, dobbiamo strappare loro il forcone da mano, spezzargli quelle corna che manco il Paparesta dei giorni migliori, e mandarli a morire nel campo di prigionia dei diavoli: il sapere condiviso. Non dobbiamo più convivere con loro. Certo, i diavoli sono come i papi: morto uno, se ne fa subito un altro. Ecco perchè non possiamo rifiutarci di capire il nuovo, oppure il nostro destino sarà una questione decisa a morra cinese tra un Belzebù e un Satanasso che avremmo potuto esiliare in qualsiasi momento.

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