giovedì 30 gennaio 2014

Piacere, sono la democrazia

Parola composta da δῆμος e κράτος, traslitterati nell'alfabeto latino in dêmos e kratos, ovvero il popolo e il potere. Per essere più precisi, nell'ordinamento dell'antica Atene il dêmos era formato dall'insieme di tutti i cittadini, ovvero gli ateniesi liberi. Sul secondo lessema che forma il termine "democrazia", ovvero sul kratos, vale la pena di notare che non vuol dire "governo", bensì "potere". Quando si parla di democrazia come di "governo del popolo", si commette un errore. La democrazia è il potere del popolo. Una cosa, cari i miei bradipucci, sommamente sovversiva. La realizzazione della piena democrazia, tanto nel campo politico quanto in quello economico, è l'incubo di chiunque goda del benchè minimo privilegio. Non c'entra niente l'idea che si professa. 

Molti, in Italia, si meravigliano del fatto che intellettuali provenienti dal PCI o addirittura dalla sinistra extraparlamentare siano poi andati a finire nei ranghi dei berluscones, o abbiano comunque avuto una deriva "destrorsa". Lo stesso PD è formato per buona parte da ex-comunisti che oggi professano tranquillamente idee neoliberiste. Come è possibile? Come si spiega?

Si spiega con estrema facilità. Si spiega con il fatto che, laddove non esista la coscienza del dêmos, parlare di coscienza di classe lascia il tempo che trova. Senza il concetto di dêmos resta solo la lotta di infinite fazioni, clan e tribù per il kratos. Se non si impara a essere cittadini, col cazzo che saremo compagni; una birra, uno spinello, due canzoni strimpellate con la chitarra e poi tutti a casa a fare i cazzi propri. Il che non significa necessariamente qualcosa di losco o moralmente reprensibile. Ma vuol dire, questo sì, che tutto si concluderà in una liturgia inutile.

Il kratos, nel frattempo, è saldamente in mano a una classe sociale transnazionale, apolide, amorale, che si avvantaggia del modo in cui molti di noi esprimono ancora il dissenso; un dissenso esclusivo  piuttosto che inclusivo, e che in questo senso riproduce la logica del privilegio su cui si regge tanto il capitalismo quanto qualsiasi altro sistema di oppressione passato, presente e futuribile. Soprattutto, mentre quelli parlano con il loro agire, come è consueto in coloro che gestiscono il potere, quel che resta della sinistra continua a riproporre discorsi intraducibili in un'azione politica dotata di prospettiva. Ha percorso per decenni una strada lunga e diritta, e quando è arrivata davanti a un bivio è uscita di strada e si è arricettata.Vittima dell'assurda ostilità all'uso del volante, o dei suoi paraocchi. O forse, in una lettura tragicomica di amarezza monicelliana, della sconsiderata ostinazione a guardare indietro mentre si va avanti.

Bisogna sforzarsi di capire che diavolo sia questa democrazia. Io, da impenitente anglista, propongo una suggestione di matrice ammerigana, ovvero statunitense. Una poesiola scritta dal vecchierel canuto e bianco riprodotto nella foto, un signore di nome Walt Whitman:


Still Though the One I Sing

Still though the one I sing,
(One, yet of contradictions made,) I dedicate to Nationality,
I leave in him revolt, (O latent right of insurrection! O
quenchless, indispensable fire!)


E siccome vi voglio bene, nonostante tutto, vi regalo pure la traduzione di Giorgio Manganelli:

Anche se l'uomo che canto

Anche se l'uomo che canto
(Un tutto unico, ma fatto di contraddizioni) io lo consacro al sentimento nazionale,
Gli lascio la rivolta (o latente diritto all'insurrezione! oh inestinguibile, indispensabile fuoco!)

E vi regalo, guardate un po', anche la nota del traduttore: "Il messaggio gioca sulla doppia connotazione di one, vale a dire la pronominale (colui che, come nella traduzione) e la qualificativa one=uno (rispetto alla molteplicità e alla contraddittorietà)."


E adesso mi ritiro anch'io nelle mie personalissime liturgie quotidiane. Quando pensate di aver capito quel one fatemi un fischio, e ci confrontiamo. La democrazia, secondo il modestissimo parere di qeusto fesso, sta tutta lì.

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