venerdì 17 gennaio 2014

Turpitudine

In Psicosi multipla Antonio Rezza fa dire a un suo personaggio: "Vieterei alle persone di accoppiarsi se distanti dal concetto di bello". Lungi dal vostro Bradipo voler vietare alcunché a chicchessia, ma queste parole mi sembrano contenere una profonda saggezza. Il brutto è onnipresente, e ha una caratteristica nefasta: è capace di distruggere la bellezza. Come le erbacce, necessitando di meno nutrimento e meno cura per sopravvivere, soppiantano i più bei fiori in un giardino, così la bruttezza soppianta la bellezza in qualsiasi paesaggio umano. Perchè la bruttezza condivide una caratteristica con le erbacce: vive di poco.

Quando parlo di bruttezza non parlo di asimmetria o mancanza di proporzione nelle forme. Quella è una espressione decisamente minore della bruttezza. Quello a cui mi riferisco è la assoluta, orripilante turpitudine di tutto ciò che vive (si fa per dire) in cattività. Mi riferisco al Calebano della Tempesta, agli animali che impazziscono di noia dietro le sbarre di uno zoo, delle tetre orde di impiegati municipali che affollano la metropolitana di Roma la mattina presto. Mi riferisco a certi anarchici di un secolo e mezzo fa, resi anemici, sdentati, ciechi da condizioni carcerarie raccapriccianti.

Tutti questi esempi però riguardano esseri che non hanno avuto scelta. A questi la turpitudine è stata imposta. Altri, per quanto assurdo possa sembrare, la scelgono: la assumono attraverso l'accettazione della convenzione. A questa categoria di esseri umani oltremodo tristi l'autorità non c'è neanche bisogno di imporla: indossano il giogo come se fosse un qualsiasi indumento. Come Adamo ed Eva dopo aver "peccato", hanno vergogna della propria "nudità". Non è che io voglia proibire a queste persone di accoppiarsi, per carità! Ma se si suicidassero in massa, come il protagonista del cortometraggio a cui facevo riferimento, non credo che ne sentiremmo troppo la mancanza.

Bello è solo ciò che è vivo, rigoglioso, fertile. Ciò che si sviluppa liberamente, secondo la propria natura. Tanto è evidente la veracità di questa proposizione, che spesso gli uomini hanno assegnato le fattezze di una bella donna agli ideali per cui combattevano. La Francia rivoluzionaria è una bella popolana scarmigliata, la Gran Bretagna una splendida fanciulla che brandisce un tridente, la Giustizia una leggiadra signora bendata che fa un uso della bilancia un tantinello più nobile e socialmente utile di queste quattro peretelle contemporanee drogate di barrette energetiche e fanatiche dello spinning. Queste ultime sì che sono turpi, nonostante i titanici sforzi che compiono per ridurre la propria massa grassa. Come se poi l'idea di bellezza avesse qualcosa a che fare con la scarsità. Siete turpi, mi fate schifo. Le palestre sono fortezze di turpitudine. Smettete di intossicarvi di ideologie confezionate per gli schiavi, buttate la pasta e liberatevi.

Eh, come se non fosse chiaro il motivo per cui vi tuffate a pesce nel mare del piattume e dell'omologazione. Voi volete essere erbacce, non fiori. Avete paura della fragilità. Preferite essere persone brutte, e delegare eventualente a tutta la merce che accumulate intorno a voi la funzione di abbellire le vostre vite profondamente turpi. Arredate le vostre gabbie, talvolta anche con gusto ed eleganza, e non vi passa neanche per l'anticamera del cervello di provare a uscirne. La porta, ve lo assicuro, è aperta.

Cari amici, perdonatemi se oggi sono stato oltremodo pretenzioso e cervellotico. Sarà la stagione, sarà il tempo che tinge d'argento le mie tempie, sarà che, se non vi convincete in massa a uscire dal bozzolo, io continuerò a essere circondato da forme di vita inevitabilmente ostili. E per sopravvivere mi toccherà restare erbaccia, fra le erbacce.

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