lunedì 24 marzo 2014

Dopo le polacchine, il diluvio


Che cos'è un intellettuale? No, scusate, così è troppo difficile. Riformulo la domanda: a che serve un intellettuale? Cerco di spiegarmi meglio. Se devo far riparare una maniglia difettosa chiamo il fabbro, se c'è un rubinetto che perde chiamo l'idraulico, e se devo tirare giù una parete divisoria per avere un salotto più spazioso chiamo i muratori. L'intellettuale, a che mi serve? A che ci serve?

Una domanda non facile, alla quale l'autore di quaderni ben più autorevoli di questi si è sforzato di dare una risposta. Ha cominciato dal ripercorrere la storia degli intellettuali in Italia, mettendo in relazione il ruolo che svolgevano con la posizione che occupavano nella società in cui si muovevano.E' partito, marxianamente, dall'assunto che le idee sono il prodotto dei rapporti socio-economici. In parole povere, Vincenzo Monti doveva mettere il piatto a tavola esattamente come il più umile dei carrettieri. E se a garantire la sopa boba, come dicono a Frattaminore, di Vincenzo Monti era Napoleone o il Papa, poco importava. Non è che adesso per sostenere un'idea piuttosto che un'altra restiamo digiuni. Se no, mo' ci vuole, a Monti gli conveniva fare il carrettiere.

Era ovvio che gli intellettuali italiani fossero untuosi e servili, era inevitabile. Senza un'identità nazionale e la conseguente unità politica, alla mercé dell'invasore, l'Italia non poteva produrre che illustri antesignani di Bruno Vespa. Se Napoleone è alle porte, ed è ben noto che Napoleone nei giorni migliori non lo fermava nessuno, tantomeno le modeste milizie degli stati pre-unitari, io che voglio campare scrivendo e partecipando al dibattito pubblico devo per forza acclamarlo. A meno che io non mi senta moralmente obbligato a difendere la verità, a costo di riceverne svantaggi personali più o meno pesanti. Ed è qui che casca il proverbiale asino.

La nobiltà d'animo è un sentimento che si sviluppa molto più facilmente e rapidamente nella comunanza di intenti. Laddove regnano l'egoismo, il familismo amorale, la cosiddetta "arte di arrangiarsi", tende a scarseggiare. Chi ha qualcosa tende a farne un uso che massimizzi i propri vantaggi, anche se a spese del prossimo. Chi dispone di un capitale difficilmente lo socializza, che si tratti di risorse materiali o di conoscenze e competenze. Ma non vorrei che adesso, leggendo fra le righe, il lettore rimanesse vittima di un equivoco: non è, a mio modestissimo parere, il Partito Comunista quello che è venuto a mancare. Sostenere questo vorrebbe dire mettere il carro davanti ai buoi. Quello che va ricostruito, ancor prima di poter ritrovare la comunanza di intenti a cui accennavo, è il senso di comunità. Facile sentirlo quando ci si ritrova ogni mattina sotto lo stesso capannone a fare lo stesso lavoraccio per arricchire lo stesso padrone; un po' meno facile quando le strutture economiche e sociali ti isolano, ti lasciano solo davanti a un telefono che squilla e al quale risponderai 100, 200, 1.000 volte "benvenuto in Vodafone". Allora bisogna sforzarsi di imparare a vedere con gli occhi degli altri, a trattare il prossimo tuo come vorresti essere trattato da lui, a praticare insomma quei valori della reciprocità e del mutuo appoggio che richiamano alla mente, in uno strano mix, tanto Gesù Cristo quanto alcuni illustri esponenti della sinistra libertaria.

E gli intellettuali, in che modo possono partecipare? Credo che la risposta sia semplice: attestandosi su posizioni rivoluzionarie. E attestarsi su posizioni rivoluzionarie vuol dire schierarsi con Matteo, che ripete mille volte al giorno "benvenuto in Vodafone" ma potrebbe dare ben altro contributo alla società di cui fa parte, e con soddisfazione personale ben maggiore. Schierarsi con questi uomini e queste donne oppressi "al dettaglio", sviluppando, ciascuno a partire dalla sua storia personale e dalla sua cultura filosofico-politica, un discorso compatibile con i valori di corresponsabilità e cooperazione di cui abbiamo così urgente bisogno. Diventando, in una parola, utili come il fabbro, come l'idraulico, come il muratore, anziché restare servi del potere di turno.

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