lunedì 21 aprile 2014

La distribuzione del pesce

Un vecchio proverbio, pare cinese, dice che se dai a un uomo un pesce lo sfamerai per un breve periodo di tempo; se gli insegni a pescare, lo sfamerai per sempre. Io, da educatore in erba, non posso non concordare. Eppure mi sembra che questa affermazione, esatta in linea di principio, vada un attimo problematizzata.

Qualsiasi processo di apprendimento richiede i suoi tempi, ma il metabolismo umano non perdona: come osserva il nonno di Lucia in FFSS, Che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?, quando gli viene fatto presente che la nipote canaria muore se non canta: "Beata a essa! Je si nun magno moro!" Dunque, l'essere umano ha bisogno di mangiare a intervalli abbastanza regolari, pena il deperimento e, in ultima analisi, la morte per inedia. Se a me, Bradipo, domani mi portano a mare con canna, esca e tutto, e mi dicono "procurati da mangiare", io prendo la barca e faccio rotta verso la pescheria più vicina. Perchè? Ovvio, perchè la necessità di ingerire del cibo si affermerà con somma impellenza molto prima che io abbia padroneggiato la difficile arte di infilare il verme nell'amo.

Ancora più difficile si fa la cosa nel momento in cui non mi danno neanche l'attrezzatura, pretendendo che sia io a dotarmene a mie spese. Ogni mestiere ha i suoi strumenti, che bisogna conoscere e saper valutare qualitativamente in relazione allo scopo al quale sono atti. Ma se quello scopo è nebuloso nella mente dell'apprendente, la suddetta valutazione sarà difficile. E se l'apprendente in questione non dispone di una somma adeguata all'acquisto dell'equipaggiamento necessario, il risultato finale potrebbe essere discutibile. Forse è per questo che la prima chitarra ad essere mai comprata dal vostro umile servo fu un legnaccio immondo, indegno perfino di essere sfasciato contro una parete da un John Belushi in toga.

Ed ora introduciamo l'ennesima difficoltà: il mare è uno spazio vasto ma limitato, contenente risorse limitate. Quando pure io abbia imparato a pescare, ed abbia la mia bella canna, le mie belle esche e galleggianti vari, e tutti gli svariati gadgets del pescatore provetto, incluso gilet multitasca e cappellino che dice "I  [cuoricino] fish", ci faccio la birra nel momento in cui la pesca industriale mi svuota il periglioso pelago, lasciandoci dentro solo sconcigli e maruzze, e qualche ciciniello orfano e disorientato.

La soluzione della carenza di pesce non sta nè nella semplice redistribuzione, nè nella formazione di stuoli di pescatori senza accesso alle risorse. Comodo dire che chi resta digiuno era troppo pigro per imparare a pescare, o troppo dormiglione per contendere le scarse prede ad altri individui alacri e mattinieri alla fioca luce del primo sole. Bisogna entrare in una logica di condivisione. Il che non vuol dire sedersi su una sdraio in riva al mare come Hemigway dopo il sesto Daiquiri e dire "datemi da mangiare"; vuol dire imparare a lavorare insieme, coordinare collettivamente i propri sforzi nella consapevolezza che civiltà vuol dire precisamente questo. Imparare a pescare non basta, perchè è vero che chi dorme non piglia pesci; ma se non trasformiamo il nostro concetto del pescare, un'alba di queste ci troveremo di fronte a un mare vuoto. E allora neanche Gesù Cristo sarà in gradi di sfamarci.

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