domenica 27 aprile 2014

Schiavi nel tempo

Cari amici del Bradipo, buona domenica. Oggi vorrei parlarvi di un tema secondo me molto più attuale di quanto molti di noi non credano: la schiavitù. Diversi eventi hanno cospirato per spingermi a scrivere questo post. Ed io ho obbedito al richiamo di una ispirazione che, per rimanere fedele alla mia poetica punk e ramonesiana, vomito sempre in bocconi minuti e acerbi. Ad altri i complessi sistemi filosofici: io sono uno snack bar del pensiero semi-istintivo.

Dovete sapere che qualche sconsiderato, non rendendosi conto di quanto io sia stupido in termini generali, e di quanto sia insufficiente la mia padronanza dello spagnolo castigliano, mi ha affidato delle traduzioni. L'argomento dei testi in questione è il fenomeno della schiavitù nel continente americano. Mentre mi destreggiavo fra ceppi e catene, due micro-riflessioni hanno turbato la profondissima quiete del mio fine settimana. La prima è stata scatenata da questo video; la seconda dalla notizia che centomila polacchi avrebbero invaso Roma per la canonizzazione di papa Giovanni Paolo II.

La schiavitù è stata formalmente abolita, nella maggior parte dei paesi, durante il XIX secolo. A metà dell'Ottocento, in Europa, non esisteva più traccia di questo aberrante istituto giuridico. Un po' più di tempo è stato necessario per sradicarlo dalle Americhe, dove importantissimi settori dell'economia si basavano interamente o quasi interamente sulla manodopera schiava, ma alla fine il processo è stato completato. Oggi a nessuno di noi verrebbe mai in mente di difendere il principio secondo in cui sarebbe legittimo per un individuo possedere uno o più suoi simili.

Libertè, egalitè, fraternitè, tu rubi a me, io rubo a te. Così recita il Canto dei Sanfedisti. Sebbene io non condivida la visione del mondo che lo ha prodotto, non posso non prendere atto che questi due versi fotografano in modo straordinariamente accurato l'ethos liberale. Perché io di poche cose sono fermamente convinto, e una di quelle è che il prodotto del lavoro deve appartenere a chi quel lavoro lo ha svolto, e a nessun altro. A poco serve abolire la schiavitù formale, se poi si fa rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. L'abolizione della schiavitù, purtroppo, non ha risposto a una genuina preoccupazione di ordine morale, ma a una trasformazione dei sistemi produttivi in chiave capitalistica, a un'ulteriore tappa nell'affrancamento dai lacci del feudalesimo. A vantaggio di chi?

Laura Boldrini ci dice che lo stile di vita dei migranti nei prossimi anni sarà lo stile di vita di un numero sempre crescente di italiani. In cosa consiste questo stile di vita? Ci riflettevo, mentre guardavo un'illustrazione che mostrava una nave negriera, e traducevo la relativa didascalia:

Quasi sempre le navi erano caricate oltre la loro capacità, sottoponendo questi esseri umani a una penosa mancanza di spazio.

Siccome il mio cervellaccio fa associazioni e collegamenti in completa libertà, mi è venuto da pensare che allora gli schiavi bisognava catturarli e costringerli con la forza a salire sulle imbarcazioni; oggi lo fanno di loro spontanea volontà, e addirittura pagano per il privilegio di affrontare un viaggio durissimo e pericoloso che li porterà dai loro sfruttatori, in un paese dove saranno oggetto di pregiudizi e discriminazioni. Tutto questo, nella speranza di essere fra i pochissimi che ce la fanno, che si salvano, che beneficiano di un'idea di libertà fasulla e feroce. Innanzitutto a questo penso io, quando mi si parla di "stile di vita dei migranti".

Mi rendo conto che, per chi ha un reddito e condizioni di vita abbastanza agiate da consentirgli di credere nelle farneticazioni neoliberiste, può esserci un elemento di intraprendenza in questo "stile di vita". Chi è portato per formazione personale a guardare alla minoranza fortunata spesso è portato a dimenticarsi i cadaveri inghiottiti dal mare, le ragazze arrivate nella speranza di lavorare nel mondo dello spettacolo e finite sui marciapiedi, gli uomini assorbiti nelle fila della criminalità per mancanza di alternative, quelli che vivono nelle baracche, nei casali abbandonati, nelle stazioni ferroviarie, e tutta la macchina repressiva che si scatena contro queste persone. Detto in altre parole: ci siamo comprati gli schiavi con qualche biglietto della lotteria. 

E questo non è certo vero solo per i migranti. Quei polacchi che oggi girano per Roma mi ossessionano. Perchè quando gli ultimi della Terra (e se i polacchi non sono gli ultimi saranno i penultimi) si mobilitano per un reazionario senza vergogna, uno che si è affacciato al balcone con Augusto Pinochet e ha benedetto un regime infame come il suo, c'è una sola conclusione da poter trarre: la schiavitù piace. Ci piace guardare verso l'alto, verso qualche figura paterna e patriarcale che ci sembra imponente solo perchè è salita su trampoli costruiti dalla nostra fatica e dalla nostra deferenza, e ascoltare le sue promesse. Che sia il paradiso o il benessere in terra, ci piace  pensare di poter essere noi i vincitori di quella lotteria. Ci piace, mentre la merda ci arriva al collo, guardarci intorno e constatare che molti ne sono già completamente sommersi. 

Io, come al solito, mi dissocio. Non mi va di giocare alla lotteria. Non mi va, se il montepremi è la nostra libertà.

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