venerdì 2 maggio 2014

Ai piedi di un altare


Cari amici del Bradipo, ormai credo di poterlo affermare senza tema di smentita: questo è un paese fanatico fino al midollo. Ieri pare che Piero Pelù, un artista che non seguo più da anni, abbia lanciato dal palco del concerto del 1 maggio, che pure non guardo da anni, delle accuse a Matteo Renzi. Lo ha definito "il boyscout di Licio Gelli" e ha criticato la sua politica. Siccome io non vado trovando "dio sul secondo canale", per parafrasare Massimo Troisi, mi sono rallegrato del fatto che un artista a me non più caro abbia colto l'occasione di una manifestazione a me non gradita per esprimere una critica che ritengo giusta a un personaggio che, per quanto mi riguarda, non verrà mai criticato abbastanza. 

Bene, su quello zoo safari chiamato Facebook (che per me ha ormai la stessa valenza dei sogni di Anna O. per Freud) ho cominciato a leggere tutta una serie di critiche all'ex cantante dei Litfiba. In parole povere, alla sua esternazione sono seguite, come una sorta di riflesso pavloviano (in Italia quel tipo di reazione è putroppo una triste norma) innumerevoli e varie constatazioni dell'umana fallacia di Pelù, e del suo "vivere nel peccato". E' un milionario rancoroso, ce l'ha con Renzi perchè lo ha sostituito in un talent show, ha rovinato i Litfiba e via discorrendo. Un'opinione pubblica da paese in via di sviluppo, anzichè soffermarsi sulla locuzione "boyscout di Licio Gelli", ha sentito l'immediato bisogno di affrettarsi a mettere dei paletti, temendo evidentemente che l'estroso musicista venisse canonizzato, avendo compiuto il miracolo di lanciare un messaggio controverso dal palco più democristiano dell'Italia post-bellica.

Let's cut to the chase, come dicono a Sparanise: una società che non risolve il suo rapporto con dio è destinata a vivere e morire ai piedi di un altare. Vi pare un concetto astratto e "filosofico"? Sappiate che ne sono incapace. Io sono terra terra, semi-illetterato, ma non stupido. E quando afferro un'idea nella sua concretezza che te ne fai di un pitbull, non la mollo più. Se vogliamo affrancarci dalla sudditanza al concetto di divinità, dobbiamo innanzitutto capire come e perchè l'abbiamo generato. Vi invito dunque per l'ennesima volta a leggere Proudhon, in particolare l'introduzione alla Filosofia della miseria. Uno dei sei o sette libri che ho letto nella vita, e ne è valsa la pena. Il fatto è che Proudhon postula dio come concettualmente antinomico all'uomo: l'uno non esiste senza l'altro. Fare come se dio non esistesse, fingere che non sia una presenza costante nei nostri schemi mentali, vuol dire condannarsi a subire la sua tirannia, diventare burattini mossi dalle sue dita, che parlano attraverso la sua voce maldestramente camuffata.

Io sono un uomo. Non ridete, su, fate i bravi. Io sono un uomo: finito, fallace, contraddittorio, meschino, debole. Sono tutte queste cose in parte per via della mia natura, e in parte perchè ho millenni di autoritarismo sulle spalle, millenni in cui l'Umanità non ha fatto altro che litigare sugli attributi di dio, perfino in quelle manifestazioni culturali e politiche che ne postulavano l'inesistenza. Millenni in cui ci siamo dannati a erigere una Torre di Babele dopo l'altra, anzichè sforzarci di comprendere i nostri, di attributi. Da solo non posso migliorare più di tanto. Ho bisogno di voi, e voi di me. Se no si mischiano le lingue, e litigare su quale sia quella parlata da Geova non risolverà una beata mazza. Se cresciamo, cresciamo a scapito di dio. E lo facciamo insieme. Io, voi, Piero Pelù e chiunque smetta di cercare un infinito che chiude sempre la porta in faccia a qualcuno.

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