domenica 10 febbraio 2013

Galantuomini e falsari


Siamo ormai in piena campagna elettorale, e in omaggio al pensiero unico non si parla d'altro che di onestà. Questo valore, perlopiù identificato con un legalitarismo puramente formale, pare destinato a trasformarsi nel Santo Graal di ciò che resta della sinistra. La proprietà non è più un furto, per dirla con Elio Petri: ormai si gioca con le regole del nemico, e chi le infrange si becca il grosso degli improperi da chi, per la sua storia e per l'elettorato a cui si rivolge, dovrebbe rimettere quelle stesse regole in discussione, tanto più in un momento di profondissima crisi del capitale come questo.

Acciocché non possiate accusarmi di essere un pedofago senza cuore, a mo' di parabola vi racconterò un episodio della mia infanzia che sarebbe potuto entrare tranquillamente nel famigerato Cuore (quello di De Amiciis, naturalmente, non quello che un tempo fu pedofago). Un anno il mio babbo decise di fare il presepe, come il sig. Pastorella del terzo piano. Ordunque, mi menò seco a San Gregorio Armeno, dove scelse con cura e attenzione materiali e pastori. Fatto ritorno sui clivi e sui colli dell'Arenella, dove avevamo e abbiamo dimora (e dove, se la politica della scuola in Italia non cambia, temo che morrò de puro viejo, come dicono a Calvizzano), l'abile genitore prese a inchiodare tavolette di legno fra loro. Dopo la base e i lati, sistemò tre pezzetti di legno a forma di zeta storzellata. Io, pargolo e ignaro della vita, protestavo che quello non aveva niente che somigliasse lontanamente a un presepe. Il babbo mi spiegò pazientemente che, per ottenere il risultato finale che avevo in mente, era prima necessario costruire lo scheletro dell'opera. Non mi convinse. Continuò a lavorare da solo, fino a che non dovetti ammettere che mi ero sbagliato. Il risultato finale era un presepe con tutti i crismi. Gli mancava solo l'enteroclisma da dietro, per far scorrere l'acqua vera.

Perchè vi ho raccontato questo aneddoto, anzichè serbarlo per un'eventuale intervista concessa a una qualunque rete Mediaset quando batterò il record dell'italiano più anziano che vive ancora con mamma e papà? Per postulare che l'essenziale è quello che non si vede. Il legno sosteneva il sughero e il muschio usato per ottenere le montagne, e quella specie di zeta sbilenca ricoperta di cartapesta costituiva il sentiero percorso dai Magi per raggiungere la grotta. Alla fine, contrariamente a quanto avevo temuto, la struttura in legno era completamente occultata.

Chiamerei adesso in causa Chomsky e i suoi concetti di struttura superficiale e struttura profonda, se non temessi di essere stroncato e umiliato da una mia collega e commilitona, assai più versata nella scienza del linguaggio del vostro Bradipo, e che talvolta ne legge i vaneggiamenti. E allora lasciamo in pace l'insigne linguista, intellettuale e attivista americano, e rivolgiamoci al nostro Totò. E scusate se è poco. Ora, se non avete mai visto La banda degli onesti, guardatelo al più presto, e tornate a questo umile scritto solo quando avrete colmato la vostra grave lacuna. D'ora in poi darò per scontata la vostra conoscenza di tale superba pellicola. Ebbene, cerchiamo di identificare la struttura profonda (ovvero il significato) della storia, guardando oltre la struttura superficiale di battute e gag (mannaggia a Bubbà, mi sono distratto! Che Chomsky e chi ne fa le veci mi perdonino!). Il guardaporta Antonio Buonocore, minacciato di licenziamento dal corrotto ragioniere Casoria, decide di approfittare del rinvenimento fortuito di alcuni clichet del Poligrafico di Stato per stampare moneta falsa. E notiamo subito due cose. Innanzitutto, che il perfido ragioniere usa la legge a proprio uso e consumo: propone a Buonocore di infrangerla per il reciproco vantaggio, e a scapito della collettività (questo al paese mio si chiama peculato); ma poi, al rifiuto dell'uomo, si riserva di far notare alla proprietà tutte le infrazioni del regolamento condominiale precedentemente notate. Da una parte il rispetto sostanziale delle regole a beneficio della comunità (Buonocore), dall'altra l'uso strumentale delle regole per ricattare i più deboli (rag. Casoria). La seconda cosa da sottolineare è che i clichet vengono, in un certo qual modo, ereditati da Buonocore, che non fa nulla per guadagnarseli, se non trovarsi al capezzale del signor Andrea. Non so se cominciate a rendervi conto di che grande cinema si faceva una volta in Italia. 

A questo punto Buonocore cerca dei complici. Lui ha il mezzo per produrre ricchezza, ma non può farlo da solo; ha bisogno di manodopera specializzata. Ebbene, Lo Turco è il candidato perfetto, con la sua Pedalina che dovrebbe fare cento copie al minuto, ma ne fa cinquanta al giorno, per mancanza di lavoro. Per lavorare, Lo Turco ha bisogno di Buonocore, dei suoi clichet e della sua carta filigranata. La scena del bar, in cui il portiere espone al tipografo la sua rudimentale ma essenzialmente corretta versione del modello di accumulo, è la chiave di volta di tutto il film. Il senso, la vera morale della storia, sta tutta in una sola parola: "adeguarsi". Ma questo vorrebbe dire vivere a spese della collettività, esattamente come fa il rag. Casoria; e allora entra in gioco Michele, che non a caso è figlio di Buonocore, e che rappresenta chiaramente, con la sua integrità perfino troppo accentuata, la speranza che una nuova generazione si contrapponga alle logiche esistenti. Il fatto che sia un finanziere è significativo: si tratta di un servitore dello stato, di quello stato che dovrebbe ridefinire i rapporti economici in termini di maggiore equità. Ma si tratta anche di un uomo in divisa, e questo elemento restituisce un po' di equilibrio alla narrazione, al livello della struttura superficiale, evitando che un film diretto a un ampio pubblico venga bollato (e a ragione, secondo me) come sovversivo.

Buonocore e Lo Turco, che nel frattempo hanno assoldato Cardone (un Pinturicchio della prima maniera), riescono a spacciare una sola banconota. Sono troppo onesti per spendere soldi che non hanno guadagnato con il lavoro. Alla fine decidono di sotterrare i clichet, e bruciare il denaro contraffatto. Come banda di falsari, sono proprio la schifezza, osserva Buonocore; ma come galantuomini, ribatte Lo Turco, sono integerrimi. Badate che i soldi falsi li hanno stampati; la legge l'hanno infranta. I loro rischi li hanno corsi. Si sono tirati indietro quando si è trattato di imbrogliare il prossimo. Non è stata la paura, quella l'avevano già affrontata e sconfitta. Quello che ha impedito loro di andare avanti è stato il rifiuto, in ultima analisi, di adeguarsi.

L'Italia, come ogni altro paese sottoposto a un'economia di mercato, è teatro di una guerra all'arma bianca fra galantuomini e falsari. Da una parte il lavoro, dall'altra il capitale. I soldi che ha in tasca il ragioniere Casoria non saranno della "depéndance", come quelli che stampano i nostri Buonocore, Lo Turco e Cardone; ma questo fa di lui un uomo onesto? Non è che alla fine adeguarsi diventa controproducente? Non ci converrebbe batterci per una equa distribuzione dello zucchero e del carbone, e affinchè leggi, norme e regolamenti condominiali non fossero più armi in mano ai ragionieri Casoria, ma ai galantuomini? Per favore, fate in fretta a decidervi, prima che la convivenza forzata con mammina mi trasformi in Giacomo Furia...



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