giovedì 21 febbraio 2013

Il sussidiario, il passato e il futuro.


Quando frequentavo le scuole elementari, ovvero in quella remota epoca in cui i pullman a Napoli erano ancora verdi e le automobili non erano disegnate da persone con seri problemi mentali, c'era il sussidiario. Oggi i bambini studiano su testi appositamente creati per stimolare la loro fantasia, la loro creatività, un apprendimento partecipato e rispettoso della personalità del fanciullo; come se alla fine del suo percorso di studi non lo aspettasse un merdosissimo call center, o qualcosa di peggio. All'epoca mia se ne fottevano della personalità del fanciullo. I maestri e le maestre di scuola erano tronfi del loro autoritarismo, mica come oggi che gli aguzzini della specie umana si nascondono dietro espressioni come "riorganizzazione aziendale" quando ti mandano per stracci. Era un'epoca intrisa di un conservatorismo ruspante, per certi versi anche apprezzabile, col senno di poi. Il sussidiario, dunque, era espressione di un'idea  palesemente fascista dell'istruzione. Insomma, a noi ci mancava il moschetto.

Sul sussidiario c'erano un sacco di figure. Ed erano disegnate benissimo, in uno stile che era l'equivalente grafico della poesia di D'Annunzio, d'accordo, ma che non mancava certo di impressionare il fanciullo. Quando vedevi Carlo Pisacane rappresentato come un gagliardo giovane in camicia bianca e braghe gialle, con un fazzoletto rosso al collo, la postura perfettamente eretta e la faccia rivolta al sole (immagine fascistissima, come evincerete dalla canzone che mi sono permesso di linkare), come facevi a dubitare che fosse un eroe? E non parliamo di Garibaldi, effigiato in veri e propri santini. Ma dove si sbizzarrivano davvero, questi italici illustratori, era sull'antica Roma. Mai l'imperialismo fu dipinto con colori così sgargianti, un tripudio di rossi, di gialli, di verdi...

Ebbene, filtrato attraverso queste immagini, il passato sembrava in qualche modo migliore del presente. "O brave old world, that has such people in't" direi, parafrasando un celebre passaggio de La tempesta di Shakespeare, se pensassi di essere letto da persone colte e raffinate, invece che dai quattro stronzi che mi merito. Non vi offendete, lo sapete che scherzo e che vi voglio bene come se foste uguali agli altri bambini. Insomma, questo cazzo di sussidiario ti dava l'idea che il passato fosse irrimediabilmente migliore del presente e del futuro. Bisognava solo volgere il guardo all'indietro per trovare risposte a qualsiasi domanda. Insomma, per i tristi dottori che compilavano questi grevi compendi, questi loculi dell'intelligenza umana, la Storia era o doveva essere una linea retta. 

Molte miglia ho percorso da allora. E se le chiamo miglia, e non chilometri, c'è un motivo. Io ho avuto una grande fortuna: quella di venire a contatto con la civiltà anglosassone (e britannica in particolare), con la sua ironica impermeabilità a qualsiasi forma di retorica e acritico attaccamento al passato. Voglio capire la realtà, non ammirarne un magnifico e suggestivo travisamento.

Non così, mi pare, una considerevole fetta della sinistra antagonista italiana, pervicacemente aggrappata ai suoi santini "laici" e alle sue parabole "evangeliche". Certo, guardandoci indietro vedremo idee, esperienze, personalità capaci di creare profonda ammirazione, compenetrazione, senso di identità. Ma se tracciamo a partire da quell'eredità la linea retta di cui sopra, non andremo lontano. Continueremo a ripetere gli errori che hanno portato l'enorme e variegata area ideologica del Socialismo sull'orlo dell'estinzione, almeno nel mondo occidentale. Dobbiamo andare oltre il sussidiario. Dobbiamo studiare il futuro, non il passato. E il futuro non si ammira, si fa. Speriamo solo che gli illustratori di domani ci raffigurino un po' meno brutti di quello che siamo.

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