lunedì 9 settembre 2013

Tu, inerte ceto medio intellettuale...

 Il ceto medio intellettaule, visto da Gustavo Doré

Allora, stasera un post disgustosamente autoreferenziale e autoindulgente. Tanto ho capito che non mi leggete più, a parte qualche irriducibile, e quindi perchè no? Vi parlerò di me, e del mio punto di osservazione sul mondo. Salvatevi, finchè potete. Andate sul blog di Civati, o restate qui a vostro rischio e pericolo.

Dunque, in una canzone da me scritta per la Banda degli Onesti, il mio progetto tristemente solista che dopo una breve parentesi nel mondo reale è tornato tale, dico la seguente frase:

Tu, inerte ceto medio intellettuale, vivi alle spalle della società.

Che vuol dire? Si tratta del mio modo, certamente inadeguato e rozzo (del resto che vi aspettate da un vetero-punk?) di esprimere quello che ritengo il concetto di gran lunga più importante per capire l'Italia degli ultimi 20 anni, i movimenti politici di protesta che ha generato, e il declino della sinistra. Esiste una parte consistente della popolazione di questo paese che non apporta alcun contributo al benessere materiale e spirituale del paese stesso. Io, ahimé, ne faccio parte, seppure non per mia scelta. Vorrei lavorare, ma il fatto è che Letta il Giovane ha deciso che ai musei gratis va bene, ma lavorare no, per favore, guagliù, come vi viene in mente? Il ministro Carrozza mi ha lasciato a piedi. Mi piace questa battuta, lo so che non è un granchè, ma se non si ride delle disgrazie poi non resta che piangere. But I digress, come dicono a Cancello Arnone. Esiste tutta una fetta della classe media che vive in modo parassitario. Senza infrangere la legge, intendiamoci. Mica come il parcheggiatore abusivo, ad esempio quello che mi guardava il mezzo quando frequentavo l'università, che passava dieci ore al giorno sotto al sole o alla pioggia, spostando motorini e facendo questioni con i vigili. Questi sono parassiti legalmente riconosciuti. Non è che li rubino i soldi, capiamoci; semplicemente, non danno niente in cambio che li valga. Io sono rozzo, lo ripeto, e vorrei fare come la Russia in quella vecchia canzone: chi non lavora non mangerà.

Esiste poi tutta un'altra parte del paese, rozza come e più di me, che non legge molto, perchè torna a casa stanca. Mi viene detto da chi se ne intende che bisogna fare una netta distinzione fra l'operaio e il padrone della fabbrichetta. Il fatto è che io li ho visti, quando buttavo il sangue al servizio civile intru lu capu te Leuca, visto che parenti o amici che mi potessero raccomandare non ne avevo, e su di me si abbattè l'ira del Distretto Militare. Dicevo, li ho visti questi operai che bevevano la birra al circoletto insieme al padrone, con gli stessi panni addosso, lo stesso dialetto in bocca, anche se poi ovviamente il padrone in tasca aveva più soldi. Gente rozza, dicevo, e quindi inconsapevole del fatto di appartenere a classi il cui antagonismo è irriducibile. Qualcuno li informi, o continueranno a parlare insieme di calcio, di televisione e di donne, in perfetta armonia. Continueranno a vedere il mondo con gli stessi occhi. E continueranno a dire peste e  corna di chi - e qui non si sbagliano -  ha sempre frapposto ostacoli fra loro e il benessere, ovvero il Partito Democratico, e la sinistra tutta che gli assimilano. Perchè, rozzi e buoni, hanno capito che mentre loro si rompono la schiena e combattono con un mercato in perenne crisi di liquidità e dunque di solvenza, c'è gente che regala i soldi alla presunta "cultura", ai preti e a quelli che parlano di alienazione del lavoro senza averlo mai visto da vicino un solo giorno della loro vita, il lavoro.

Ora, questi costituiscono la spina dorsale del nostro paese. Sono loro la parte più consistente della nostra classe lavoratrice. Ed equiparare il padrone della fabbrichetta che fattura due o trecentomila euro all'anno ai grandi gruppi industriali e finanziari transnazionali è semplicemente ridicolo. Non è lui il nemico. Qualsiasi cambiamento sociale, in questo paese, dovrà passare per le persone con cui io bevevo la birra e guardavo le partite del Lecce. Si dovrà guadagnare il loro consenso. Dovrà parlare la loro lingua, o non sarà capito.

Io nella vita qualche libro l'ho letto, e tanti altri ne leggerò. Ma penso che avrei sprecato il mio tempo, se tutto questo leggere non mi avesse fatto capire che il mondo è fatto di tanti punti di vista, e che capirsi è difficile. Il fatto che io abbia una laurea non rende il mio punto di vista più valido o autorevole di quello dell'operaio di cui sopra, sebbene io sia certo più informato su una quantità di cose. Se voglio che il mio punto di vista prevalga, o perlomeno che sia fatto proprio in parte da chi mi sta davanti, devo proporglielo in modo comprensibile e che abbia un minimo di attrattiva per lui. Altrimenti mi chiudo nel centro sociale e mi dedico alle mie polemiche sterili con questa o quella sigla della sinistra antagonista, ignorando la realtà lampante che nè l'una nè l'altra otterranno mai il minimo risultato concreto da sole. La mia interpretazione dei fenomeni economici e sociali deve esserre tanto convincente da entrare nel senso comune. Finchè il socialismo resterà il diletto esoterico di sette para-sataniche i cui adepti non hanno mai bevuto la birra con gli operai che votano per Berlusconi, rimarrà una chimera vagheggiata da pochi e temuta da molti.

Già vi vedo pararvi innanzi alla mia esile figura (se mai doveste aver letto queste righe), decisi a farmi pagare queste inaudite eresie. Che dirvi? Lasciatemi usare le parole di Nicola Di Pinto ne Il camorrista:

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