giovedì 29 luglio 2010

La grande truffa dell'amore romantico


Allora, abbiamo detto che l'Occidente è moribondo, dedito all'auto-annullamento in una prolungata eutanasia a base di Calippo, bira e inanità. Tra i sintomi del male terminale che ci affligge citerei senz'altro la crisi del rapporto uomo-donna, che personalmente incarno come fulgido esempio di maschio adulto sentimentalmente disfunzionale. Cupido è raggomitolato in un angolo, sanguinante e tumefatto, e cerca invano di proteggersi dalle selvagge percosse somministrategli da stuoli di stolidi individui che, in un modo o nell'altro, non sanno amare. Sì, perché amare è un'arte, come fa notare l'amico Fromm, il di cui libro è riprodotto nell'immagine apposta al principio del post. Potrei rimandarvi al suddetto volume, dal momento che il mio pensiero sull'argomento coincide in tutto e per tutto con quello del celebre esegeta di Freud, ma essendo cosciente del valore che hanno assunto nelle nostre vite di indolenti e indigenti perdigiorno la concisione e la freewaritudine, vi regalerò qualche riga di ordinario delirio.

Per capire perché sarebbe una truffa l'amore romantico, dobbiamo prima definire con un ragionevole grado di precisione il significato dei singoli lessemi che compongono la proposizione. Su "truffa" non credo di dovermi dilungare, dal momento che il mio blog è scritto in italiano e rivolto a lettori italiani. Ma cosa vuol dire davvero "romantico"? E cos'è l'amore, al di là delle melense massime reperibili negli incarti di una nota marca di cioccolatini, che non citerò per evitare di fare pubblicità a un'azienda dalla quale non ho ricevuto un centesimo?

Cominciamo dall'aggettivo "romantico". Etimologicamente, è riconducibile al francese medievale romanz, che stava a indicare un qualsiasi tipo di narrazione fittizia in lingua volgare (laddove "volgare" non vuol dire scurrile, ma semplicemente del popolo, in contrasto con il latino, lingua dei dotti). Il termine era applicato in particolare alla letteratura cavalleresca, spesso infarcita di particolari fantastici. Il Romanticismo fu animato proprio dal proposito di recuperare lo spirito di quella tradizione, vitale e pregna di significati reconditi e misteriosi (l'esistenza del subconscio era ancora insospettata). Una civiltà orfana di dio e dell'ordine indiscusso dell'ancien regime sentiva il bisogno di uscire dagli angusti confini del mondo che aveva ereditato. Sentiva il bisogno di trascendere, di andare oltre. Dunque "romantico" non c'entra assolutamente niente con le cene a lume di candela o altre banali tecniche di corteggiamento, che hanno come fine il mero accoppiamento, ma fa riferimento a quella ampia e complessa gamma di emozioni suscitate dal ritrovarsi soli nell'universo, limitati nel tempo, eppure arsi da un desiderio irrazionale quanto insopprimibile di entrare in comunione con il senso più profondo dell'esistenza. Quest'ultimo, essendo questione di percezioni interamente soggettive, può essere ricercato ovunque: nel misticismo, nell'adorazione della natura, nella contemplazione del bello espresso dall'arte, o nella ribellione alla tirannia. O, ancora, in una donna.

Passiamo ora alla parola "amore", una delle più travisate della lingua italiana. Naturalmente lo stesso avviene ai lessemi equivalenti in molte altre lingue europee. Noi, come i francesi, gli inglesi o gli spagnoli, ricorriamo continuamente alla parola "amore" (o "amour", "love" e "amor") per fare riferimento alla sfera sessuale. Pensate a un'espressione come "fare l'amore", e riflettete su come l'amore non sia affatto un elemento essenziale del rapporto fra due "amanti". Questo forse a causa del dualismo originato dal Cristianesimo, che ci ha scissi in carne e "spirito", con la prima ricettacolo di ogni male e il secondo veicolo della salvazione. E così Eros si è rifugiato nella dimensione incorporea, intangibile dell'anima e delle sue facoltà, mentre al corpo sono rimaste funzioni più basse e vili, come la diuresi, la defecazione e il coito. Da non confondersi, quest'ultimo, con il "fare l'amore", che implica la legittimazione della monogamia. Il Signore, che tutto scruta dall'alto dei cieli, gioisce nel vedere un uomo e una donna (attenzione eh!), previamente uniti nel sacro vincolo del matrimonio, donarsi l'uno all'altra; naturalmente, nella posizione espressamente raccomandata dalla Santa Madre Chiesa, opportunamente denominata la "missionaria". Certo, sempre si tratta di un pene che stantuffa una vulva, ma se questo viene fatto secondo la volontà di Geova (cosa pensereste di me se vi dicessi come dovete scopare???) va bene, e lo spirito rimane puro. Quanta confusione...

Ora finalmente possiamo provare a definire l'amore romantico. Dicesi amore romantico l'inopinata illusione che un partner sessuale, scelto pertanto in base a dinamiche di attrazione fisica e alle leggi della vile carne, possa essere il compagno o la compagna che darà un senso alla nostra vita, che ci schiuderà nuovi orizzonti, che ci salverà dalla nostra mortalità e sostanziale assenza di scopo ultimo.

Ah, Bradipo, ci hai rotto i coglioni con questo cinismo! Ma allora che dovremmo fare? E qui entra in gioco l'amico Erich. L'amore, secondo Fromm, è una attività, non qualcosa che ci capita. Consiste nel godere della compagnia degli altri (non solo del partner dunque), nel condividere con loro le nostre esperienze, nel sostenerli nei momenti di difficoltà perché la loro presenza ci dona gioia. In quest'ultima frase, come avrete notato, ho rasentato la grottesca edulcorazione del linguaggio clericale... Beh, perché in fondo anche l'umanista ha una "fede": quella nell'Uomo (o Donna, se preferite). Sì, siamo qui per caso e siamo destinati a sparire senza lasciare tracce durature della nostra presenza. Ma ora siamo qui, animali sofisticatissimi, tutto sommato piuttosto evoluti, e dotati non solo della capacità di sentire, ma anche di quella di ragionare. Se resistiamo alla tentazione - tutta terrena - di ricorrere a soluzioni prêt-à-porter che ci risparmino la fatica di usare il cervello, possiamo fare autonomamente le nostre scelte morali, e cercare, per quanto ci è possibile, di dirigere il corso della nostra vita. La scelta del partner, l'impostazione del rapporto, la gestione delle crisi, il rifiuto della scappatoia offerta dall'infedeltà: tutto questo è amore. Dio non c'è, non abbiamo un padre che ci possa imporre leggi infallibili; non possiamo consentirci l'abbandono infantile che oggi tanti uomini e donne chiamano amore. L'amore è una fatica, un lavoro. Se vogliamo godere dei suoi frutti, dobbiamo dissodare, arare, seminare, irrigare il podere dell'amore (sembra il titolo di un brano di Elio e le Storie Tese, vero?).
Passare da una "storia" all'altra, come Tarzan sulle liane, non è altro che consumismo umano, un replicare acriticamente nei rapporti fra persone gli stessi comportamenti e atteggiamenti che abbiamo nei confronti delle merci.
Desistere di fronte alla noia, alle rughe che si moltiplicano su un viso che prima ci sembrava così bello, alla paura di ipotecare il futuro, vuol dire non sapere amare. Questo dice Cooper... pardon, Fromm. E questo è quello che è capitato a noi.

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