giovedì 15 luglio 2010

L'RCA e Napoli capitale

Devo subito scusarmi con voi, cari e fedeli lettori, per la brevità dell'accesso di frivolezza che mi ha colpito nei giorni passati. Dopo le facete considerazioni sulla necessità di nudità iberiche, devo tornare ad angosciarvi con pensieri tetri e foschi.

Come ogni estate, oggi ho rinnovato la polizza assicurativa sul mio ciclomotore, un obsolescente Kymco Grand Dink 250. Come ogni estate, mi sono trovato di fronte a un ingiustificato aumento del premio assicurativo, per me che guido come un vecchio, che sto DIETRO l'auto che mi precede, e non la affianco; per me che mi fermo quando vedo le strisce pedonali, che riconosco sempre la precedenza a chi viene da destra, che non suono mai il clacson a meno che non si configuri una situazione di immediato pericolo. Siamo arrivati alla parossistica somma di 807.00 euri, che per un sottoccupato occasionale come me sono una piccola fortuna.

Naturalmente, prima di rinnovare il mio rapporto con la stimata Allianz/Gruppo Adriatico, ai dirigenti della quale auguro ovviamente tutto il male possibile, ho cercato soluzioni più vantaggiose. Ci è voluto poco, però, per rendermi conto che il mercato delle polizze RCA in Italia è l'ennesima riproposizione del divario Nord/Sud, e un'ulteriore conferma dello stato di totale abbandono e vuoto morale che regna nella mia città, ovvero Napoli. Fin qui, solo ovvietà. Vorrei però dedicare qualche riga a un'ipotesi forse meno scontata, e cioè che la situazione tragica in cui versa il Mezzogiorno d'Italia, sebbene non nuova, sia in parte attribuibile a un fenomeno di respiro molto più ampio come l'evoluzione delle economie e delle legislazioni in senso neo-liberista.

Io sono cresciuto in un'Italia molto diversa da questa, probabilmente difficile da immaginare per gli adolescenti, o anche i ventenni, di oggi. L'Italia dell'equo canone, della scala mobile, delle grandi battaglie sindacali (quanta differenza con gli operai "pragmatici" di Pomigliano...); un'Italia in cui molti democristiani si collocavano più a sinistra dell'odierno PD, in cui nessuno si sognava di mettere in discussione il diritto alla casa, al lavoro, all'istruzione, alla sanità. Un'Italia in cui il Sud era in ritardo, vittima di politiche sbagliate (vedi Cassa del Mezzogiorno) e di una leadership alquanto discutibile, ma aveva almeno una nozione astratta di ordine, legalità e progresso sociale. Ricordo con tenerezza il periodo delle "targhe alterne", in cui si cercava di decongestionare l'infernale traffico partenopeo (a cui credo che dedicherò un post) stabilendo un giorno per la circolazione delle auto le cui targhe avevano l'ultimo numero pari, e un giorno per quelle che ce l'avevano dispari. Palliativi, ovviamente, di fronte a una popolazione il cui livello di abbrutimento è pre-illuministico, ma almeno si intradeveva l'intenzione di regolare la vita della collettività, tanto a livello locale che nazionale.

Poi c'è stato il ciclone Mani Pulite, che ha spazzato via una classe politica arrivata a livelli di corruzione inammissibili. Il mito alimentato da buona parte della destra è che un gruppo di magistrati bolscevichi abbia cominciato a perseguitare i potenti per invidia, per sete di potere, per voglia di protagonismo e quant'altro; la realtà storica è che, a partire dall'arresto di Mario Chiesa, colto sul fatto nella riscossione di una tangente versatagli da un imprenditore che aveva chiesto l'intervento delle forze dell'ordine, un arresto ha tirato l'altro, in un'inchiesta che presto ha assunto le proporzioni di un cataclisma giudiziario. In Italia si procede d'ufficio contro molti reati, per cui il pool di Milano non aveva scelta: una volta venuti a conoscenza dei fatti criminosi, i giudici dovevano procedere all'apertura di un fascicolo e alle eventuali incriminazioni.Sull'uso massiccio che si fece della carcerazione preventiva si può discutere, ma certamente non se ne è mai discusso tanto come lo si fece allora; in altre parole, lo spacciatore (magari extracomunitario) può passare mesi in cella prima del processo, e nessuno fiaterà; sbatteteci un politico, in quella cella, e diventerà una notizia da prima pagina.

Giudizi a parte, il fatto è che Mani Pulite lasciò l'Italia con un vuoto di potere paragonabile solo a quello vissuto nei giorni di grande incertezza seguiti alla Liberazione. Per questo si parlò di "seconda repubblica". In questa Italia si fece strada, in un clima effettivamente da dopoguerra, l'uomo che più devastazione di ogni altro ha cagionato alla nostra bella penisola (battendo una concorrenza agguerrita che va da Brenno alla Wermacht): Silvio Berlusconi.
Come è stato possibile che un personaggio come lui, con il suo passato e la sua totale mancanza di rispetto per le regole più elementari del confronto politico sia arrivato a fondare un partito dal nulla e vincere le elezioni? E che, a sedici anni di distanza da quella prima vittoria, continui a governare? Questa è la domanda che si pongono molti italiani, e la totalità degli stranieri che seguono le nostre vicende.

Proviamo a rispondere. Se siete dei giovani maturi come me, ricorderete che qualche anno prima, nell'89, il muro di Berlino era venuto giù. Negli anni successivi, l'intero blocco orientale, quello del socialismo reale, era stato sconvolto da venti di guerra e/o riforma. In breve, l'economia di mercato aveva conquistato tutti i paesi un tempo aderenti al Patto di Varsavia, compresa l'Unione Sovietica, trasformata prima in Comunità degli Stati Indipendenti, e poi smembrata in vari stati e staterelli. Poco importava la scia di sangue e miseria lasciata da questa rivoluzione, noi la si doveva applaudire, perchè aveva vinto la "libertà". Ora, se voi condividete questa idea, vi invito caldamente a non continuare a leggere questo post, e a non leggere mai più il mio blog.
Quello che aveva vinto era il liberismo, ovvero la libertà da parte del forte di opprimere il debole attraverso rapporti economici fortemente asimmetrici; un tipo di relazione al quale si potrebbero forse applicare i meno lusinghieri termini di "oppressione" o "schiavismo". Un orientamento già affermatosi da oltre un decennio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e che si andava diffondendo a macchia d'olio nell'Occidente. Lo scandalo di Tangentopoli diede l'occasione di farlo passare anche da noi, in un paese con una grande tradizione socialista e comunista, un forte movimento sindacale, e un mondo cattolico che almeno in parte - bisogna ammetterlo - era attento ai temi della giustizia sociale e della dignità del lavoro. I nuovi politici, e quelli vecchi che erano scampati alla mannaia delle inchieste, cominciarono a ribadire ossessivamente idee a ben vedere assurde: che l'onestà di un politico era più importante della linea del suo partito; che bisognava votare la persona, non il partito; che le ideologie erano morte (ma cosa c'entra l'insuccesso di un regime con la validità intrinseca di una dottrina politica?), per cui quello che contava era il programma del candidato. Ma un partito politico deve necessariamente avere una linea, e il programma non lo stabiliscono i singoli candidati, perchè la politica è l'arte di far collimare molteplici interessi. Ovviamente si trattava di una marea di incommensurabili cazzate. Gli ex-comunisti avevano una certa premura di rifarsi una verginità morale (mai pensarono di continuare a difendere i principi, pur contestandone l'applicazione), la neonata Forza Italia aveva tutto l'interesse di questo mondo a non parlare di contenuti, e il resto della politica italiana era costituito essenzialmente da macerie. Vi stupisce che in questo clima sia emerso vittorioso un uomo che possedeva tre canali televisivi e una casa editrice?

La lenta e penosa rifondazione del sistema politico in Italia è segnata da quel peccato originale. Le ideologie sono morte. La competenza è la chiave di tutto. Anche in un politico conta solo la competenza, a parte naturalmente l'onestà. E allora le forze politiche si sfidano su quel terreno, dimenticando le vecchie contrapposizioni. Ricorda un po' l'affermazione berlusconiana che un paese è come un'azienda, vero? Ebbene, questa non è forse un'ideologia? L'ideologia che ci ha traghettati verso un'Italia in cui il divario fra ricchi e poveri è più ampio, in cui la scarsità del lavoro, e la precarietà di quello che si trova, sono ormai motivo di allarme sociale, e in cui la libertà di stampa (al contrario di quella d'impresa) viene sottoposta a limitazioni tali da suscitare perplessità perfino da parte della Casa Bianca (Obama, per quanto ne dica Berlusconi, di solito non pensa a noi quando va a coricarsi).

Questa è l'Italia di oggi, l'Italia di Gomorra, l'Italia di Cosentino e dei suoi amici casalesi, dei nuovi ricchi che vanno in giro in Mercedes e Bmw e non sanno parlare l'italiano, del figlio di papà sorridente di stolida indifferenza che lascia la macchina in seconda fila quando si ferma a prendere un caffè, perchè tanto i vigili non ci sono mai; l'Italia di un Sud inondato di fondi dell'UE che non vengono spesi, e quando vengono spesi passano sempre per le mani degli stessi direttori clamorosi, ereditieri, cardinali, e figli di tutti questi potenti; l'Italia in cui i laureati devono lavorare per la teppaglia in giacca e cravatta, e ritenersi anche fortunati di avere tale privilegio. Di questa Italia rasa al suolo da un decennio e mezzo di berlusconismo (italica variante di anglosassone aberrazione) Napoli dovrebbe essere capitale. Una città che sguazza giuliva nella propria merda, brulicante di servi della gleba che si ricordano di essere vessati solo quando arrivano le bollette delle utenze o c'è da rinnovare l'RCA, ma sono altrimenti felici di fronte ai loro televisori a schermo ultrapiatto, dai quali il feudatario e i suoi vassalli continuano a ripeterci che il libero mercato aggiusta sempre tutto. Senza precisare, ovviamente, che in questo mercato noi, con i nostri bisogni, diritti e aspirazioni, siamo solo merce.

4 commenti:

  1. ottimo post e ottime etichette :)

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  2. Ho apprezzato particolarmente i tag finali.

    Ma tutto il post meriterebbe una pagina tra gli editoriali migliori di Repubblica, quelli di Maltese o Bocca per intenderci.

    Clap clap. Mi permetto di condividere.

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  3. Grazie Christian, troppo buono!

    P.S. Dio piduista!

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  4. Roberto, la vostra soddisfazione è il mio miglior premio!

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