domenica 22 dicembre 2013

Il problema di girarsi

Cari amici del Bradipo, se siete giovani vi è andata male nella vita, ormai dovreste averlo capito. Vi siete persi il meglio. Sarà l'insulso nostalgismo di un vegliardo ormai rimbecillito dall'età e dalla deboscia, e forse tutte le generazioni hanno avuto questa stessa convinzione, ma nessuno mi toglierà dalla testa che gli anni '80 sono stati anni molti più seri di questi. La cartina geografica non aveva ancora dato di matto, la Serie A aveva ancora sedici squadre, le panchine corte e la vittoria a due punti. Era un calcio meno veloce, ma più tecnico, e soprattutto c'erano i giornalisti sportivi. Dite voi, anche oggi ci sono i giornalisti sportivi. E Caressa cos'è? No, ragazzi. Io parlo di gente estremamente seria e professionale. Vi parlo dei Brera, dei Martellini, dei Ciotti. E vi parlo dell'uomo nella foto: il grande Bruno Pizzul.

Come tutti i telecronisti, Pizzul aveva delle frasi e locuzioni che amava ripetere, e che lo identificavano. Ad esempio, quando un attaccante riceveva palla nella metà campo avversaria, venendo subito francobollato dal suo marcatore, Pizzul immancabilmente diceva: "Ha il problema di girarsi". Allora si giocava a uomo, per cui ai difensori veniva assegnato un avversario da seguire ovunque andasse, ogniqualvolta superasse la metà campo. I migliori stopper erano quelli che non lasciavano neanche respirare il giocatore che erano incaricati di marcare, fermandolo con le buone o con le cattive. Non dovevano avere doti di impostazione del gioco, compito che era casomai affidato al libero. Pietro Vierchowood aveva due ferri da stiro al posto dei piedi, eppure è stato un grande stopper. Qualsiasi campione che che entrasse in possesso della sfera spalle alla porta, e avesse dietro di se Vierchowood, per quanto talentuoso, aveva davvero il problema di girarsi. 

Oggi non si marca più a uomo, ma spesso i giocatori che prendono palla sulla tre quarti hanno ugualmente paura di girarsi verso la porta. Temono di essere pressati, di allungarsi il pallone, perderlo e lasciare il campo aperto al contropiede avversario. Marek Hamsik, che qui nessuno discute come calciatore, nove volte su dieci preferisce il retropassaggio in quella situazione di gioco. Il trequartista di personalità, invece, piroetta rapidamente sul proprio asse e cerca, in misura compatibile con la sua visione di gioco, di trovare uno sbocco alla manovra e creare i presupposti per arrivare al tiro.

Perchè vi racconto tutto questo? Perchè la sinistra, oggi, mi fa pensare tanto a un pavido trequartista. Nostalgica del tempo che fu e della marcatura a uomo, cerca con la mano di sentire un Vierchowood che non c'è più, ed esita a voltarsi, timorosa di perdere il controllo della sfera. Si pone il problema di girarsi, e non si accorge che la linea di difesa avversaria è estremamente bassa, sebbene folta di uomini. Se avesse l'agilità e la sicurezza di sé di un Messi si avviterebbe rapidamente e punterebbe i lenti e legnosi centrali che si frappongono fra lei e la porta. Se avesse idea delle rivoluzioni che ha visto Coverciano negli ultimi decenni, si toglierebbe dalla testa le superate dottrine dei Trapattoni e dei Castagner, e capirebbe che deve aggredire gli spazi, con e senza palla. Se solo fosse disposta a prendere atto di tutto questo, finirebbe in goleada.

E invece esita, traccheggia, cincischia con il pallone. Ecco un'altra bella espressione del repertorio pizzuliano. Si rifugia nel retropassaggio, cerca la posizione, e ogniqualvolta si trova il pallone fra i piedi guarda verso la propria metà campo, non verso la porta avversaria. Un altro elemento che distingue il calcio d'antan da quello contemporaneo è che una volta non si attaccava con tanti effettivi.  anche questo sfugge al nostro Hamsik.Oggi non è necessario che passi il pallone al centravanti o al tornante: se ti guardi intorno, vedrai almeno cinque o sei uomini pronti a giocare di sponda, a collaborare nell'imbastire la manovra. Ma se, oltre ad essere pavido e insicuro dei tuoi mezzi, sei anche egoista, allora è meglio che tu chieda il cambio. Il calcio è un gioco di squadra, si sa. L'importante è il risultato, non la prestazione individuale. I tifosi pretendono la vittoria. Anche perchè in palio non ci sono i due o i tre punti: c'è il futuro del gioco.







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