sabato 23 agosto 2014

Filosofeggiare nonostante tutto

Carissimi lettori, che siete miei simili e miei fratelli (non vi sto facendo una chiavica aggratis, mi sto sparando la posa con Baudelaire/T.S. Eliot), io ho capito perchè non mi fanno stare quieto. Se vi interessa ve lo dico. Però dovete avere la pazienza di seguirmi in un excursus filosofico da due soldi. Io non so filosofeggiare, ma è assolutamente necessario farlo. Le circostanze, quella cosa che guardata da lontano si chiama "la storia" e vista da vicino si chiama "orrore quotidiano del vivere", mi urlano in testa come una fidanzata contrariata che non possiamo più delegare nè il pensiero, nè l'azione. Le conseguenze sono nefaste. Dunque, procediamo, e speriamo di non fare troppi danni.

Quando ero bambino, pensavo come un bambino. Una cosa del genere dice Saul di Tarso, in una delle sue epistole. Poi è cresciuto e ha messo da parte l'infanzia. Giusto. Per me l'infanzia, in senso intellettuale, è coincisa con il periodo della mia vita in cui, davanti a un qualsiasi fenomeno o evento, mi chiedevo "che cos'è?"  Una volta superato questo stadio, a causa della mia sistematica incapacità di rispondere a quella domanda, ho cominciato a chiedermi "come funziona?" Scattano due riflessioni. Innanzitutto, che va riconosciuto il valore del sapere ammettere l'errore e la sconfiitta; e poi, che la domanda "come funziona" è in un certo senso più evoluta, secondo questo vostro umile servo, della domanda "che cos'è". Perchè? Semplice: perchè chi si pone questo ultimo interrogativo tende a non riuscire a rispondere (è il caso dei saggi, dei filosofi da prendere sul serio); oppure a darsi risposte frettolose e infantili.

Come mai? E qui i teisti mi devono perdonare, ma almeno uno di loro potrebbe aver già capito dove voglio andare a parare. Perchè quello che è si rivela solo ed esclusivamente in quello che accade. Non è a prescindere, per usare un'espressione che mi consenta di non rischiare di chiudere il post senza aver citato neanche una volta uno dei maestri che mi hanno insegnato a ridere. Dunque, è dalla realtà esperibile, da quello che i filosofi con la barba chiamano il divenire, che devono essere evinte le coordinate, diciamo così, dell'essere. "Il sonno della ragione genera mostri!" odo uno scalmanato gridare dal loggione. Sissignore; ma anche far lavorare la ragione su rappresentazioni astruse, senza farla confrontare con un'esperienza quanto è più possibile immediata dei fatti, può generare cose abbastanza sgradevoli. Questo succede, e spesso, quando si cerca con un'interepretazione della realtà di confermare la propria "fede". 

"Come funziona", dicevamo. Maledetti anglosassoni. Maledetti voi e il vostro pragmatismo, il vostro common sense, la vostra naturale tendenza alla tolleranza. Mi avete contagiato e poi mi avete abbandonato in mezzo ai fanatici del "che cos'è". Sono come un vampiro mezzo cecato, vulnerabile alla luce del sole ma incapace di muoversi nelle ombre della notte. Bramo la mozzarella, la pizza, il caffè e di tanto in tanto la tarantella, vestito da Pulcinella balzo sulla scena esclamando un sonoro "uè", ma poi comincio a scorgere i neri vestimenti dei novelli Gesuiti e vorrei provare a ragionare, vorrei intavolare un discorso come se fossi salito su una di quelle pittoresche soapbox che garantiscono anche ai più eccentrici la totale immunità, non già su un palco allestito dalla Santa Inquisizione per un auto da fé di cui sono il main feature.

Potrei adesso buttare lì una frase ad effetto, come ad esempio "avete più paura voi nel pronunciare questa sentenza che io nel riceverla". Ma so benissimo, purtroppo, che i nuovi inquisitori sono atrocemente inconsapevoli della propria brutalità. E qui il post prende una piega seria, mio malgrado. Vi ricordate come vi ho chiamati prima? Non era casuale. L'unica cosa che possiamo sapere dell'essere è ciò che si manifesta nella nostra natura; la quale, con buona pace di alcuni dei miei eventuali lettori, non è un prodotto nè delle circostanze nè delle rappresentazioni che aspirano a cambiarle. Queste cose possono alterare i nostri comportamenti, ma non gli elementi essenziali della nostra natura. Che si rivela nel nostro vissuto, nelle nostre sensazioni, nella nostra felicità o infelicità, appagamento o irrequietudine, piacere o dolore. E allora quando è in gioco la convivenza fra me e mon semblable, mon frere, quel fesso del sottoscritto non si chiede "che cos'è", ma "come funziona". Nella speranza che la si smetta di arderci vivi a vicenda.

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